Il
progetto che debuttò nel 2012 con successo al Macerata Opera Festival approda
al Grande di Brescia per inaugurare la nuova stagione d’Opera con la Bohème di
Puccini secondo Leo Muscato. In questo allestimento il regista ha visto un
parallelismo tra i famosi disordini rivoluzionari della capitale francese di metà Ottocento
e la rivoluzione a tutto campo che si svolse nel Sessantotto del secolo scorso nel
nostro paese, immaginando che i poveri ma rampanti giovani bohèmien potessero
essere trasportati a quell’epoca in cui anche i nostri ragazzi fecero
sentire forte la voce di protesta. Così la La Barriera d'Enfer qui diventa una fonderia ove gli operai sono
sfruttati e sottopagati in ambiente malsano e sfilano con cartelloni di protesta per ottenere
condizioni lavorative più umane, mentre i gendarmi cercano di sedare lo
scompiglio. Mimì, la dolce fioraia di Puccini, pur conservando il carattere che
da sempre contraddistingue questo ruolo, non è altro che una delle tante operaie della
nostra storia recente intossicata da ciò che respira a lavoro e per questo vittima
della sua stessa condizione sociale.
Il viaggio nella Bohème di Muscato passa dalla
realtà visiva con sottofondo storico-sociale, all’astratto dei sentimenti
umani, sottolineando con forza e, a nostro avviso in certi casi in maniera
troppo marcata, gli stati d’animo dei quattro protagonisti e delle loro amiche,
che passano da una rassegnazione ingenua e spensierata, alla stessa
rassegnazione aggravata dal dolore. La scenografia creata da Federica Parolini si innesta in questo tessuto registico divenendo sempre più cupa man mano
che la storia avanza: primo quadro intriso del colore dei dipinti posti in una
soffitta scarna ma vivace, se non altro per l’energia degli inquilini; il caffè
Momus del secondo quadro sembra invece un disco/ pub piuttosto kitsch con qua e là motivi
zebrati negli allestimenti. Si cambia decisamente con il terzo quadro ove la
protesta operaia prende vita nella ‘Fonderia D’Enfer’ sotto la neve fitta, ma allo
scomparire dei picchetti, la scena è giustamente incentrata sulle due coppie
che rinnovano i propri sentimenti. Una tenda da campeggio offre ospitalità alle
effusioni di Musetta e Marcello mentre Mimì e Rodolfo si stringono fuori incuranti
del freddo. Niente soffitta che difatti sparisce al volo nell’ultimo quadro: i ragazzi
impacchettano tutto quando sopraggiunge Mimì moribonda su di un letto d’ospedale
con medici ed infermiere a confermarne lo stato di malattia terminale.
Il viaggio è così compiuto, la parabola della vita ha
catapultato i giovani artisti verso la dura e fredda realtà.
Stile anni sessanta naturalmente gli abiti di Silvia
Aymonino facilmente identificabili soprattutto dai
motivi stampati sugli abiti femminili.
Nel cast di giovani troviamo innanzitutto una davvero ottima Maria Teresa Leva che ci ha convinti da tutti i punti di vista. La Mimì
che interpreta qui è una lavoratrice forte e coraggiosa, povera ma
dignitosissima nei gesti e negli sguardi cha sa condire di dolcezza e malizia
quando in compagnia di chi le interessa. Il timbro è solido dalla pasta ricca e
duttile, supportato da tecnica vocale e preparazione. Meravigliosa la resa di ‘…e
la man tu mi prendevi’ , glissando e smorzando come se effettivamente stesse per
venir meno, così come riuscitissimo l’ultimo sospiro: ‘..e dormire’ emesso con precisione
ma effettivamente morente e straniante, gran classe!
Le si affianca un generoso Matteo Lippi, spensierato Rodolfo finché la vita gli consente di andare avanti, ma il cuor che duole e la miseria
lo rendono sempre più vulnerabile. Abbiamo già incontrato il tenore in questo
ruolo e ci sembra notare una certa maturazione dal punto di vista
interpretativo, molto più centrato nel personaggio anche grazie ad una regia
che come detto amplifica atteggiamenti e situazioni. La sua voce morbida e
delicata è atta a sottolineare soprattutto l’aspetto elegiaco del suo essere.
Bene il Marcello di Sergio Vitale, altro anello fondamentale della cerchia di amici e
artisti, che si trova impelagato in una storia di odio-amore con la furbetta ma
buona Musetta. Ci piace il colore della sua voce scura e penetrante che
aggiunge calore e robustezza alla sua interpretazione viva ed efficace.
La sua Musetta Larissa Alice Wissel invece è un po’ troppo ed esclusivamente civettuola,
complice certo la regia che la vede come una specie di soubrette tutta
paillettes e poco cervello, ma anche dal punto di vista vocale ha tenuto sempre
un atteggiamento eccessivo colpendo il suono negli attacchi che risultano scattosi
e nell’emissione che talvolta stride anche in acuto.
Alessandro Spina risolve il suo Colline con cuore e sentimento, in
linea con i suoi compagni di sventura/avventura, coronando la sua serata con
una buona ‘vecchia zimarra’.
Il meno felice dei quattro è parso lo Schaunard di Paolo Ingrasciotta, che abbiamo applaudito
in tutt’altro repertorio e che qui forse non trova una sua appropriata collocazione:
eccessivamente caricato nel fare il giovane ganzo e a briglia sciolte, che il
regista talvolta ha voluto quasi sciocchino, come ad esempio nella scena dei balletti nel quarto quadro che a nostro avviso è sì ironica, ma affatto demenziale.
Il folto cast vede infine un ottimo e simpatico Paolo Maria Orecchia come Benoit
/ Alcindoro, il sergente dei doganieri di Eugenio Bogdanowicz col doganiere Victor
Andrini, ed il venditore ambulante di Mattia Rossi col Parpignol
Daniele
Palma, che entra in scena col coloratissimo e grazioso armamentario
ambulante dei suoi giocattoli.
Sempre
piacevole assistere ad un coro giovanile ben preparato come quello dell’ Istituto Monteverdi di Cremona di Hector Raul Domiguez, i cui bimbi indossavano dei cappellini natalizi. Preparato
invece da Antonio Greco è l’ottimo coro di
OperaLombardia.
Infine
l’orchestra è guidata dal Maestro Giampaolo Bisanti, il
quale ogni volta che dirige un capolavoro di Puccini sembra trovare nuovi
spunti e nuove attenzioni nei confronti della partitura, sempre al servizio
dello spettacolo e dei cantanti che dirige: non un mero accompagnamento al
canto, ma un sottolineare sfumature e dinamiche con colori ed accenti che fanno
il suono ricco, avvolgente, in sintesi immenso.
Il pubblico si è scaldato man mano nella serata tributando
al termine un bel successo con calorosi applausi per tutti i protagonisti, il
direttore ed anche gli ideatori dell’allestimento.
Maria Teresa
Giovagnoli
LA
PRODUZIONE
Maestro
concertatore Giampaolo
Bisanti
e direttore
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Alessandro Verazzi
Maestro del coro Antonio Greco
Maestro del coro di voci bianche Hector Raul Domiguez
e direttore
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Alessandro Verazzi
Maestro del coro Antonio Greco
Maestro del coro di voci bianche Hector Raul Domiguez
GLI
INTERPRETI
Rodolfo Matteo Lippi
Marcello Sergio Vitale
Marcello Sergio Vitale
Schaunard
Paolo
Ingrasciotta
Colline Alessandro Spina
Colline Alessandro Spina
Benoit
/ Alcindoro Paolo
Maria Orecchia
Mimi' Maria Teresa Leva
Musetta Larissa Alice Wissel
Mimi' Maria Teresa Leva
Musetta Larissa Alice Wissel
Parpignol Daniele Palma
Un venditore ambulante Mattia Rossi
Un sergente dei doganieri Eugenio Bogdanowicz
Un doganiere Victor Andrini
Un venditore ambulante Mattia Rossi
Un sergente dei doganieri Eugenio Bogdanowicz
Un doganiere Victor Andrini
ORCHESTRA
I POMERIGGI MUSICALI DI MILANO
CORO
OPERALOMBARDIA
CORO
VOCI BIANCHE ISTITUTO MONTEVERDI DI CREMONA – PROGETTO MOUSIKE’
BANDA
DI PALCOSCENICO ISIDORO CAPITANIO BRESCIA
ALLESTIMENTO
DEL MACERATA OPERAFESTIVAL
COPRODUZIONE
TEATRI OPERALOMBARDIA E FONDAZIONE I TEATRI DI REGGIOEMILIA
Foto Umberto Favretto