Nello stesso periodo in cui Mozart componeva il delizioso Flauto magico, ossia
nell’ultimo suo anno di vita, il 1791, il compositore austriaco terminò anche il
suo ultimo capolavoro serio: La clemenza di Tito, tratta da Metastasio e su
libretto di Caterino Mazzolà, poeta che dovette rivederne il testo affinché
fosse più ‘adatto’ alla musica del salisburghese. Due mondi completamente
diversi, una fiaba ed un dramma storico, ma che manifestano entrambi come
sentimenti di amore, gelosia e brama di potere, possano manifestarsi
in ogni genere, tanto nella fantasia quanto nella vita reale. Ma soprattutto in
ambo i casi viene sottolineato il fatto che un uomo di potere, un imperatore romano in
questo caso, possa essere conosciuto ed amato per la sua proverbiale
magnanimità. E’ noto infatti come questa opera fu scritta per celebrare l’allora
regnante Leopoldo II d’Asburgo, successore di Giuseppe II, in occasione della
sua incoronazione come re di Boemia.
Per celebrarlo degnamente Mozart chiama in causa il ‘clemente’ Tito,
ossia il sovrano per eccellenza, colui che mette sempre al primo posto il suo
impero fatto di persone più che di territori, a discapito anche dei suoi
sentimenti. Ha infatti occasione in più momenti di esprimere la sua grandezza, nel
rifiutare il ricco bottino di guerra offerto dal prefetto Publio, per donarlo
al popolo; nel rinunciare al matrimonio con Servilia sapendola innamorata di
Annio; nel dubitare della colpevolezza dell’amico fidato Sesto, nonostante le
evidenze; ed appunto nell’atto finale di perdono generale verso i cospiratori, motivo
chiave di questa opera.