Nell’ambito del festival ‘Lo spirito della musica di
Venezia’ edizione 2015, la Fondazione Teatro La Fenice sceglie di recuperare
con una produzione nuova ed uno sforzo logistico non indifferente il dramma
pastorale ‘Dafne’ del musicista Antonio Caldara, che fu allestita per la prima
volta a Salisburgo nel 1719 in onore dell’arcivescovo della città austriaca,
Monsignor Francesco Antonio principe di Harrach, di cui si celebrava
l’onomastico, su testo del poeta Giovanni Biavi, attivo presso la corte di
Monaco. La
storia della ninfa trasformata in alloro per conservare la propria virtù
sfuggendo ai suoi innamorati doveva essere un ottimo tema per impressionare il nobile
festeggiato.
Con questo esperimento il regista Bepi
Morassi cerca di ricreare quella che doveva essere l’atmosfera fastosa della
corte salisburghese agli inizi del diciottesimo secolo, pensando di utilizzare
la meravigliosa Sala dello scrutinio del Palazzo Ducale di Venezia in piazza San
Marco per il suo allestimento. Forse l’opera fu creata a suo tempo per
spazi ben più ampi atti ad ospitare anche le danze che di fatto sono previste dal
libretto alla fine del primo e secondo atto, ma dobbiamo dire che la
sala prescelta da Morassi è stata degna ospite di questo divertissement, per il
quale sono state utilizzate delle strumentazioni che ricordano molto, o
fanno immaginare come potevano essere all’epoca, quelle utilizzate per
spettacoli del genere nel millesettecento. Al centro della scena una semplice impalcatura
lignea con diverse scale per accedervi e sviluppare l’azione anche intorno ad
essa, viene sormontata da pochi macchinari mossi manualmente dai mimi, con carrucole e pedane
attivate di volta in volta.
Ci siamo immaginati lo stupore che avrebbero
provato i nobili ospiti dell’arcivescovo nel vedere Febo ascendere
letteralmente al cielo declamando i suoi versi grazie ad una pedana sollevata
meccanicamente, oppure spalancare gli occhi davanti al marchingegno che
avvolgendo del tessuto azzurro simula la trasformazione dell’affranto Peleo in fiume dopo la perdita
dell’amata figlia. Per non parlare degli opulenti costumi d’epoca a cura di Stefano Nicolao, cui
è affidato proprio l’aspetto più stupefacente dell’intera rappresentazione, che
diversamente risulterebbe nel complesso alquanto semplice.
In questo ambiente i protagonisti si muovono attivamente grazie ad una regia molto dinamica e ci trasportano per qualche ora nella vita di un tempo passato che
offre ancora una miriade di lavori da scoprire e che certamente questo Festival
ha in serbo per gli anni a venire.
Interessante anche il versante musicale, cui fa testa il sempre più
sorprendente Stefano Montanari, ancora una volta nella duplice veste di direttore e strumentista, ormai
una certezza nel panorama della musica del settecento, qui alla testa dell’ Orchestra Barocca del Festival. Costituita soltanto dai consueti archi (violini, viola, violoncello e
contrabbasso), oboi, un fagotto, corni, una tiorba e naturalmente il
clavicembalo, il piccolo ensemble costituisce il sostegno ideale per i versi
musicati da Caldara: il Maestro sceglie tempi stretti e sempre coinvolgenti,
accoglie e sostiene l’azione in scena accompagnando ogni singolo episodio con
attenzione ed emozione.
Buona
la compagnia di canto che vede come protagonista vocale il controtenore Carlo Vistoli. Nonostante l’opera sia
intitolata alla ninfa Dafne è certamente Febo quello maggiormente impegnato
musicalmente parlando: i lunghi e trasognati recitativi e soprattutto le
difficilissime arie che immaginiamo abbiano fatto svenire diverse fanciulle a
suo tempo, pregne di agilità funamboliche a ritmi sostenuti, sono risolte dall’interprete
con sicurezza unitamente ad un’ottima recitazione.
Delicata ed acuta ma ben proiettata in avanti la voce del soprano Francesca Aspromonte, nel
doppio ruolo di Venere (nell’introduzione e nel finale) e della vezzosa Dafne,
un po’ civettuola ma che ben si guarda dal cedere ai voluttuosi amanti Febo ed
Aminta. Buona presenza scenica anche per Renato Dolcini, anch’egli impegnato
su due fronti nei panni di Giove e di Peneo, padre attento e protettivo dalla
voce scura e sufficientemente corposa per un simile repertorio. Aminta e
Mercurio sono impersonati da Kevin Skelton la cui parte
scende spesso in tono grave non permettendogli di esaltare il colore della sua
voce, che difetta talvolta nella pronuncia italiana, fermo restando una
partecipazione accorata sia come innamorato che come dio Mercurio.
In una sala piena di pubblico davvero attento e concentrato, moltissimi
tributi di soddisfazione sono stati dati al termine dello spettacolo.
Maria Teresa Giovagnoli
LA
PRODUZIONE
Maestro
concertatore
e
direttore Stefano Montanari
Regia Bepi Morassi
Costumi a cura di Stefano Nicolao
Impianto scenico
Regia Bepi Morassi
Costumi a cura di Stefano Nicolao
Impianto scenico
a
cura de Gli Impresari
GLI
INTERPRETI
Dafne/Venere Francesca Aspromonte
Febo Carlo Vistoli
Aminta/Mercurio Kevin Skelton
Peneo/Giove Renato Dolcini
Orchestra Barocca del Festival
nuovo allestimento Fonazione Teatro La Fenice
in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia
Febo Carlo Vistoli
Aminta/Mercurio Kevin Skelton
Peneo/Giove Renato Dolcini
Orchestra Barocca del Festival
nuovo allestimento Fonazione Teatro La Fenice
in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia
Foto Michele Crosera