mercoledì 15 luglio 2015

ANTONIO CALDARA, DAFNE - PALAZZO DUCALE DI VENEZIA: SALA DELLO SCRUTINIO, lunedì 13 luglio 2015

Nell’ambito del festival ‘Lo spirito della musica di Venezia’ edizione 2015, la Fondazione Teatro La Fenice sceglie di recuperare con una produzione nuova ed uno sforzo logistico non indifferente il dramma pastorale ‘Dafne’ del musicista Antonio Caldara, che fu allestita per la prima volta a Salisburgo nel 1719 in onore dell’arcivescovo della città austriaca, Monsignor Francesco Antonio principe di Harrach, di cui si celebrava l’onomastico, su testo del poeta Giovanni Biavi, attivo presso la corte di Monaco. La storia della ninfa trasformata in alloro per conservare la propria virtù sfuggendo ai suoi innamorati doveva essere un ottimo tema per impressionare il nobile festeggiato. 

Con questo esperimento il regista  Bepi Morassi cerca di ricreare quella che doveva essere l’atmosfera fastosa della corte salisburghese agli inizi del diciottesimo secolo, pensando di utilizzare la meravigliosa Sala dello scrutinio del Palazzo Ducale di Venezia in piazza San Marco per il suo allestimento. Forse l’opera fu creata a suo tempo per spazi ben più ampi atti ad ospitare anche le danze che di fatto sono previste dal libretto alla fine del primo e secondo atto, ma dobbiamo dire che la sala prescelta da Morassi è stata degna ospite di questo divertissement, per il quale sono state utilizzate delle strumentazioni che ricordano molto, o fanno immaginare come potevano essere all’epoca, quelle utilizzate per spettacoli del genere nel millesettecento. Al centro della scena una semplice impalcatura lignea con diverse scale per accedervi e sviluppare l’azione anche intorno ad essa, viene sormontata da pochi macchinari mossi manualmente dai mimi, con carrucole e pedane attivate di volta in volta. 
Ci siamo immaginati lo stupore che avrebbero provato i nobili ospiti dell’arcivescovo nel vedere Febo ascendere letteralmente al cielo declamando i suoi versi grazie ad una pedana sollevata meccanicamente, oppure spalancare gli occhi davanti al marchingegno che avvolgendo del tessuto azzurro simula la trasformazione dell’affranto Peleo in fiume dopo la perdita dell’amata figlia. Per non parlare degli opulenti costumi d’epoca a cura di Stefano Nicolao, cui è affidato proprio l’aspetto più stupefacente dell’intera rappresentazione, che diversamente risulterebbe nel complesso alquanto semplice. 
In questo ambiente i protagonisti si muovono attivamente grazie ad una regia molto dinamica e ci trasportano per qualche ora nella vita di un tempo passato che offre ancora una miriade di lavori da scoprire e che certamente questo Festival ha in serbo per gli anni a venire.

Interessante anche il versante musicale, cui fa testa il sempre più sorprendente Stefano Montanari, ancora una volta nella duplice veste di direttore e strumentista, ormai una certezza nel panorama della musica del settecento, qui alla testa dell’ Orchestra Barocca del Festival. Costituita soltanto dai consueti archi (violini, viola, violoncello e contrabbasso), oboi, un fagotto, corni, una tiorba e naturalmente il clavicembalo, il piccolo ensemble costituisce il sostegno ideale per i versi musicati da Caldara: il Maestro sceglie tempi stretti e sempre coinvolgenti, accoglie e sostiene l’azione in scena accompagnando ogni singolo episodio con attenzione ed emozione.

Buona la compagnia di canto che vede come protagonista vocale il controtenore Carlo Vistoli. Nonostante l’opera sia intitolata alla ninfa Dafne è certamente Febo quello maggiormente impegnato musicalmente parlando: i lunghi e trasognati recitativi e soprattutto le difficilissime arie che immaginiamo abbiano fatto svenire diverse fanciulle a suo tempo, pregne di agilità funamboliche a ritmi sostenuti, sono risolte dall’interprete con sicurezza unitamente ad un’ottima recitazione.

Delicata ed acuta ma ben proiettata in avanti la voce del soprano Francesca Aspromonte, nel doppio ruolo di Venere (nell’introduzione e nel finale) e della vezzosa Dafne, un po’ civettuola ma che ben si guarda dal cedere ai voluttuosi amanti Febo ed Aminta. Buona presenza scenica anche per Renato Dolcini, anch’egli impegnato su due fronti nei panni di Giove e di Peneo, padre attento e protettivo dalla voce scura e sufficientemente corposa per un simile repertorio. Aminta e Mercurio sono impersonati da  Kevin Skelton la cui parte scende spesso in tono grave non permettendogli di esaltare il colore della sua voce, che difetta talvolta nella pronuncia italiana, fermo restando una partecipazione accorata sia come innamorato che come dio Mercurio.
In una sala piena di pubblico davvero attento e concentrato, moltissimi tributi di soddisfazione sono stati dati al termine dello spettacolo.  
   
Maria Teresa Giovagnoli

LA PRODUZIONE

Maestro concertatore
e direttore                   Stefano Montanari
Regia
                           Bepi Morassi
Costumi a cura di       Stefano Nicolao
Impianto scenico
a cura de                     Gli Impresari

GLI INTERPRETI


Dafne/Venere             Francesca Aspromonte
Febo
                            Carlo Vistoli
Aminta/Mercurio
       Kevin Skelton
Peneo/Giove               Renato Dolcini


Orchestra Barocca del Festival


nuovo allestimento Fonazione Teatro La Fenice
in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia




Foto Michele Crosera