Orfeo
e la sua amata sposa, il dolore per la perdita, l’intimismo dei propri sentimenti
racchiusi in un cuore di disperazione continuamente alternata alla speranza di
un ricongiungimento. Certo per intrattenere la corte viennese non poteva finire
in tragedia la favola di Orfeo, ma grazie a Gluck essa conserva tutta la
poesia, il pathos e la ricchezza racchiusa in una musica celestiale resa eterna
dai versi di Ranieri de’Calzabigi. Così il Teatro Olimpico di Vicenza si rivela
uno scrigno in cui Andrea Castello, al debutto
registico in collaborazione col Maestro Francesco
Erle, sceglie di utilizzare sostanzialmente ciò che la scena fissa
offre, in accordo con una quasi tacita tradizione perpetuata nel teatro
vicentino, permettendo quindi alle interpreti ad al coro di passare tra la
galleria del pubblico ed anche accanto all’orchestra. Al centro della scena si
pone il giaciglio di Euridice dalle fattezze lapidee i cui estremi vanno a comporre
con un semplice gesto un cuore gigante.
Allo stesso modo i costumi atemporali di Roberta Sattin vantano un immediato riconoscimento visivo nel nero luttuoso del coro alternato al pallore delle tuniche monacali, nel bianco innocente di Euridice, nelle vesti maschili dai richiami ellenici di Orfeo e naturalmente nel rosso di Amore, i cui grandi manicotti formano anch’essi l’effige di un cuore. Sono soprattutto le luci a comporre il mosaico di sensazioni ottiche in questo spettacolo raccolto e sostenuto da un’orchestra che evita ogni eccesso o spropositati languori: il suono degli strumenti risulta molto asciutto ed il Maestro Francesco Erle guida l’orchestra composta da sole parti reali, uno strumento per classe, sottolineando con forza il fraseggio delle interpreti ed avvolgendo lo spettacolo con un incalzare secco che richiama costantemente agli eventi, facendosi solenne ove occorre. Ottimamente si inserisce Alberto Maron che arricchisce di espressività i recitativi con i suoi interventi al clavicembalo.
Dispiace non aver potuto assistere alle danze
delle Furie e neanche udirle, certo non inserite per motivi di spazio
disponibile.
Qualche considerazione sulle tre protagoniste. La
versione andata in scena è quella di Vienna del 1762 che prevede un Orfeo contralto.
Innanzitutto va lodata la partecipazione sulla scena che le tre protagoniste
hanno sicuramente mostrato a chiare lettere.
Lo struggente Orfeo è stata Francesca
Biliotti che ha saputo trasmettere il trasporto amoroso anche grazie ad
un buon fraseggio ed ad una presenza scenica forte, anche se il timbro non
sembra esaltare perfettamente la zona più grave che le permetterebbe di rendere
più omogenea la linea di canto.
Mina Yang è una delicata Euridice, trasognata tra la
realtà degli inferi ed il sogno di poter riabbracciare il suo amato che non può
però degnarla di uno sguardo; minuta tanto nell’aspetto quanto nella voce
sottile ed eterea.
Benedetta Corti ben si disimpegna nel ruolo risolutore di Amore:
morbido il fraseggio, interessante è il colore della sua voce acuta ed
armoniosa.
Molto compartecipe il coro della Schola San
Rocco che ha cantato con vigore e passione.
Teatro Olimpico gremito con nostro grande piacere
nonostante fosse un sabato sera ed un’opera non appartenente al grande
repertorio. Applausi trionfali per tutti.
Maria Teresa Giovagnoli
LA
PRODUZIONE
Maestro direttore
e concertatore Francesco
Erle
Demi stage Francesco Erle, Andrea Castello
Consulente musicale Sara Mingardo
Assistente musicale Caterina Galiotto
Costumi Roberta Sattin,
Demi stage Francesco Erle, Andrea Castello
Consulente musicale Sara Mingardo
Assistente musicale Caterina Galiotto
Costumi Roberta Sattin,
StilistArtista per Sartoria il
Monello, Vicenza
Immagine Decor Center Immagineria
GLI INTERPRERTI
Orfeo Francesca
Biliotti
Euridice Mina Yang
Amore Benedetta Corti
Euridice Mina Yang
Amore Benedetta Corti
Coro e orchestra Schola San Rocco
Una produzione Concetto Armonico
Foto Angelo Nicoletti - FIAF