giovedì 18 giugno 2015

IL SUONO GIALLO, A. SOLBIATI – TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA, MARTEDI’ 16 GIUGNO 2015

C’era molta attesa per la presentazione al Comunale di Bologna dell’opera di Alessandro Solbiati ‘Il suono giallo’, ispirata liberamente alla composizione Der gelbe Klang di V. Kandinskij ed in prima esecuzione assoluta. Un lavoro certo molto particolare per palati forti che possiede in sé la dirompente disperazione, angoscia e precarietà dei tempi nostri, sia dal punto di vista scenico che musicale. Della durata di circa un’ora e venti, si compone di sei quadri preceduti da un prologo e seguiti da un epilogo, intercalati da sette intermezzi musicali. Gli interpreti qui sono più attori che cantanti, definiti ‘giganti’, ed il coro che commenta le loro azioni è diviso in grande, seduto fuori scena, e piccolo, che agisce sul palco.
Ciò che costituisce il libretto dello stesso compositore si avvale dei versi del grande pittore russo per l’occasione affiancati da alcune note scritte da lui per il saggio Über die Mauer, che nelle intenzioni di Solbiati servono ad esplicare meglio i contenuti del componimento in funzione della messa in scena. Qui gli esseri viventi si uniscono e si allontanano, soffrono e si disperano, un senso di inadeguatezza espresso con forza pervade nell’atmosfera, in quello che vuole essere un percorso che parte dall’oscurità per poi aspirare alla luce, alla calma ed alla speranza di andare avanti. 
Le parole che ascoltiamo sono però piuttosto confuse e sostanzialmente fini a se stesse nel descrivere questa sorta di stato allucinato da parte di chi le pronuncia, come in preda a un delirio. Vi è un ampio uso di sinestesie ed ossimori con la descrizione di rocce parlanti, nerissime lotte, tenebrosa luce, ma compaiono qua e là anche bestemmie, preghiere, sogni, lacrime, risa, e così via. In estrema sintesi una serie di visualizzazioni senza un particolare filo conduttore, che vengono lamentosamente cantate dagli interpreti in un generale e profondo senso di sconforto.

In questo contesto si inserisce la regia di Franco Ripa di Meana coadiuvata da Marco Gnaccolini per la specifica drammaturgia: un susseguirsi di azioni sconclusionate, che rimarcano l’indefinitezza del testo enunciato.  I volti sono espressione di inquietudine, vi è chi corre avanti e indietro o salta con una immaginaria corda, chi si fa la barba coprendo di schiuma tutta la testa in un video proiettato, insomma tutta una serie di atti senza senso compiuti in mezzo al mucchio da coristi, cantanti e comparse, che sembrano a loro volta terrorizzati da qualcosa che li disturba, fuggendo spesso di corsa dalla sala e ricomparendo poi sul palco. Non mancano passeggiate intorno al pubblico che obiettivamente viene investito da una sorta di inquietudine, evidente fin dalle prime battute. Classica spruzzatina di liquido sanguigno a macchiare le sottovesti in cui restano le coriste, nonché di liquame giallo per richiamare il titolo dell’opera.

Ovviamente molto sui generis è la scena di Gianni Dessì in cui il colore giallo torna nella tinta di una stanza rovesciata e che man mano si riduce al solo pavimento; compaiono gigantesche maschere mostruose pendenti dall’alto come a schiacciare gli interpreti, e passiamo continuamente dal nulla più totale all’utilizzo di elementi alquanto assurdi. Dulcis in fundo infatti, un enorme pugno alzato alla maniera comunista che regge la sagoma di una lampada gialla a forma di casetta, è l’ultimo elemento di questa che più che una scenografia sembra frutto di una tremenda allucinazione.

Studiati ad hoc sono quindi gli effetti luminosi di Daniele Naldi, che sottolineano i momenti topici con luce a giorno verso la sala o con profonda oscurità come richiesto spesso dal testo.

La musica di Solbiati non può che essere un adeguamento profondamente viscerale a tutto questo caos e senso di incompiuto: non potevamo certo aspettarci una melodia uniforme che risollevasse lo spirito del libretto, ed infatti il compositore ha concepito una serie di suoni enigmatici che accompagnano descrivendoli gli episodi piuttosto assurdi che si succedono sul palcoscenico ed in sala. Dunque un largo uso delle percussioni, delle pause, di suoni smorzati e poi ampliati, per un ascolto complessivamente visionario che mette in risalto attese e sospiri, fino alle paure più inconsce. Il Maestro Marco Angius ha guidato l’orchestra del Comunale in risposta a quanto richiesto con precisione e secondo noi con stoico entusiasmo. In questo senso il direttore è riuscito a rendere in pieno il senso di sospensione astratta di Kandinskij.  Le voci chiamate a sostenere tale peso sono presenti in tutti e cinque i registri: Paolo Antognetti tenore, Alda Caiello soprano, Maurizio Leoni baritono, Laura Catrani mezzosoprano ed il basso Nicholas Isherwood. Come detto sono sono stati soprattutto attori in questo contesto e molto concentrati nell’eseguire le certo non semplici frasi cantate. Fondamentale il contributo delle comparse Viviana Filippello, Deborah Frittelli, Valeria Miserandino, Lorenzo Garufo, coinvolti in questo incubo visivo nell’interagire con i cantanti.

Sparuti dissensi tra un pubblico non molto folto che ha applaudito principalmente Solbiati ed il direttore Angius. Qualcuno ha lasciato la sala anche prima del termine.

Maria Teresa Giovagnoli

LA  PRODUZIONE

Direttore
Marco Angius
Regia
Franco Ripa di Meana
Maestro del Coro
Andrea Faidutti
Scene e costumi
Gianni Dessì
Luci
Daniele Naldi
Drammaturgia
Marco Gnaccolini

GLI   INTERPRETI

Soprano
Alda Caiello
Mezzosoprano
Laura Catrani
Tenore
Paolo Antognetti
Baritono
Maurizio Leoni
Basso
Nicholas Isherwood


Progetto scenico di Franco Ripa di Meana e Gianni Dessì

Realizzazione dei contributi video di Carlo Cifarelli
Attori: Maria Viviana Filippello, Deborah Frittelli, Valeria Miserandino, Lorenzo Garufo.

Nuova produzione Teatro Comunale di Bologna
Commissione Teatro Comunale di Bologna
Prima rappresentazione assoluta

Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna




Foto Rocco Casaluci