prima rappresentazione
italiana
quasi un monologo circolare di Salvatore Sciarrino
da un racconto di Kafka : Vor dem Gesetz
quasi un monologo circolare di Salvatore Sciarrino
da un racconto di Kafka : Vor dem Gesetz
Un
palcoscenico completamente vuoto, uno sfondo buio che lascia nel chiarore solo la
sagoma rettangolare di una porta che si allarga fino a comprendere tutto lo
sfondo, per poi restringersi ancora intorno ai protagonisti. Ecco l’impianto
posto in essere da Jürgen Lier entro cui si muove la regia di Johannes
Weigand , per il lavoro di Salvatore Sciarrino che per la prima
volta approda in Italia ed al Teatro Malibran di Venezia. A quanto pare la
nostra umanità è composta da anonimi attori da cui sono presi ad esempio l’Uomo
1 e l’ Uomo 2, costretti a vivere in un mondo imperscrutabile ove anche l’ovvio viene
contraddetto.
Entrambi vogliono attraversare la porta della legge, della
giustizia, ma il guardiano glielo impedisce senza fornire alcuna spiegazione, nonostante
le numerose richieste e suppliche. E l’assurdo arriva alla fine, quando l’usciere
confessa ad ognuno dei due, ormai vecchi ed in fin di vita, che la porta era
destinata proprio a loro. Nella novella di Kafka questa criptica trama ha una
spiegazione legata all’intero romanzo da cui è tratta, il Processo, mentre presa
singolarmente da Sciarrino ‘La porta della legge’ lascia parecchio spazio all’immaginazione
di chi osserva e riflette. Forse la giustizia esiste, ma c’è chi impedisce che
questa segua il suo corso, oppure la nostra vita è circondata da contraddizioni
in termini che portano a conseguenti paradossi (come l’essere respinti ingiustamente proprio davanti alla porta
della giustizia), oppure questa
apertura è il simbolo di tante opportunità che vengono offerte dalla vita, ma qualcuno
posto sul nostro cammino ci impedisce di coglierle, e magari quel qualcuno è il
nostro alter ego che ha paura di varcare la soglia della felicità.
La
definizione ‘monologo circolare’ ci fa immediatamente pensare ad una
narrazione, se così possiamo definirla in questo caso, che ritorna su se
stessa, ripercorrendo il suo iter. Il destino del primo personaggio viene difatti
seguito da un altro suo simile, pur con caratteristiche fisiche e vocali diverse,
e chiaramente l’autore vuole farci intendere che ad essi seguiranno tanti altri
nella medesima situazione.
Il
libretto dello stesso Sciarrino, che dovrebbe costituire il fulcro del pensiero
dominante in tale lavoro, è in realtà molto scarno e costituito principalmente
da poche frasi ripetute con fare ossessivo dai due uomini a turno: vorrei entrare, la porta della legge è
sempre aperta, mi lasci entrare.. e dai noncuranti ora no, forse più tardi, ecc. del guardiano.
La
musica è piuttosto frazionaria e di non facile decifrazione, poiché minimo appare
il suo apporto alla rappresentazione. Più che un accompagnamento risulta in
effetti come una sottolineatura delle frasi emesse in maniera ossessiva, lasciando quindi ampio spazio
ai vuoti acustici rotti da improvvise riprese. L’orchestra si avvale anche di due
pianoforti, una lastra metallica, perfino un tam-tam. Ma non sembra essere
fondamentale in questa opera a nostro avviso. Non semplice quindi il
compito del Maestro Tito Ceccherini , che segue pedissequamente la
recitazione/canto dei tre protagonisti per far reagire prontamente l’orchestra.
Il risultato riflette così la scia del libretto: l’insieme è giustamente scarno,
ripetitivo, quasi nebuloso.
Stesso
dicasi per la resa degli interpreti: Ekkehard Abele interpreta il primo Uomo che chiede di varcare la porta con un’aria trasognata,
incredula, ossessivamente inquisitoria. Il tono della voce è moderato, in linea
con l’aria di sospensione che aleggia in scena, si muove con circospezione sul palco
cercando di seguire la sagoma variabile della famigerata porta.
Al
pari Roland
Schneider appare forse più ingenuo pur nel medesimo copione, meno aggressivo, ma
ugualmente tormentato, di chi lo precede e sfrutta il timbro della sua voce da
controtenore per sottolineare l’inquietudine che prova, quasi come se non
osasse esprimersi troppo forte per non disturbare il glaciale Usciere. Costui è
impersonato da Michael Tews che deve fare pure i conti con certe
torsioni del busto imposte dalla regia, che lo vuole povero nel verbo ma espressivo
nel corpo.
Ci
piace concludere raccontando l’istallazione video di Jakob Creutzburg che
appare al termine: un’ infinità di uomini, sempre simili ed anonimi, continuano
a ripetere le stesse poche parole, bloccati nelle loro porte che salgono e
scendono all’infinito nella penombra del palco, finché la musica non cessa del
tutto e si oscura la scena. Ed è buio totale.
Il
pubblico non numeroso ha accolto con sufficiente calore lo spettacolo di questa
recita.
Maria Teresa Giovagnoli
LA
PRODUZIONE
direttore Tito Ceccherini
regia Johannes Weigand
scene e costumi Jürgen Lier
video Jakob Creutzburg
GLI INTERPRETI
L’uomo I Ekkehard Abele
L’uomo II Roland Schneider
L’usciere Michael Tews
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
con sopratitoli in italiano
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Foto Michael Hoernschemeyer/Wuppertaler Buhnen