Opera d'esordio e autentico
capolavoro del musicista russo, che senza abusare delle fonti folkloristiche,
qui seppe tradurre le melodie nazionali in una composizione di largo respiro, è
diventata negli anni modello di riferimento per eccellenza di numerosi lavori successivi come il Boris o Principe
Igor, e con essa si può dire nasca l'opera russa in Russia.
La musica di Glinka rivela in
modo inequivocabile l'appartenenza del compositore russo al mondo spirituale
dei romantici, ai loro problemi e ai loro obiettivi, anche se la struttura del
suo melodramma rimane quella a forme chiuse con arie, cavatine, cabalette di
derivazione occidentale con influenze marcate dai lavori di Bellini e Donizetti
(che conobbe personalmente durante un suo viaggio in Italia) e talora anche del
grand-opèra francese, impostata su una partitura di grande genialità, ricca di
colore, trasparenza e suggestione con un' orchestrazione abilissima, tanto da
aver ricevuto le lodi di un esperto come Berlioz.
L' allestimento visto all' Opera
di Francoforte va lodato innanzitutto per il coraggio avuto nel mettere in
scena un lavoro tipicamente russo che richiede uno studio approfondito sia
della lingua sia del colore metrico e ritmico dato dalla parola russa, ma anche
per aver assemblato un cast che al di fuori dei circuiti dei grandi teatri
russi di tradizione, sembra impossibile trovare.
Sebastian Weigle a capo
della direzione musicale, a parte qualche taglio nei ballabili del secondo
atto, presenta una partitura integrale scegliendo tempi morbidi soprattutto nei
momenti corali, e sono tantissimi, sia nei momenti strumentali, prediligendo
una concentrazione sul colore piuttosto che sull'accentuazione ritmica a scapito
certo di una minore tenuta drammatica di insieme. Riesce tuttavia a dare una
sua impronta personale ad una partitura spesso abusata nella sua accezione
russa, avvicinandosi di più al colore dell'opera romantica italiana piuttosto
che al fiabesco ed al colore espressivo. Ne risulta un lavoro che musicalmente
in parte perde il suo fascino “folklorico” ma ne acquista per precisione e
scavo della nota.
Harry Kupfer, all'alba
dei suoi 80 anni, immagina una messa in scena che si discosta anni luce da
quell' armamentario fiabesco e tradizionale tipico di questi lavori, per
trasportare l'azione durante la seconda guerra mondiale dove gli invasori
polacchi sono soppiantati dai soldati tedeschi.
Ecco allora che nel secondo atto
Kupfer fa cantare il coro non più in russo ma in tedesco e così sempre quando
non interagiscono con la controparte russa. Se da un lato può risultare
interessante per marcare ancora di più la differenza tra due parti nemiche,
alla lunga diventa fuorviante dando l'impressione di un pasticcio al quale
sicuramente avremmo fatto a meno, così come delle scialbe coreografie di Irene
Klein, completamente decontestualizzate.
Le spurie scene di Hans
Shavernock, aiutate dai video di Thomas Reimer rimandano ad una
desolazione metafisica, nella quale comunque la regia di Kupfer si muove a suo
perfetto agio concentrata in maniera efficacissima sulla recitazione dei
singoli e sui movimenti delle masse, qui vere protagoniste. L'Epilogo si svolge
quindi su di una Piazza Rossa dove dal Mausoleo di Lenin, la nomenklatura russa assiste e celebra la
morte degli eroi del popolo diffondendo da altoparlanti su tutta la piazza, il
giubilo corale.
Vero mattatore della serata è
stato il sempreverde Sir John Tomlison, che dall'alto dei
suoi 70 anni celebra un Ivan perfettamente a suo agio nella figura come nella
drammaturgia e poco importa se la voce risulti a tratti affaticata o imprecisa,
dalla sua parte c'è un uso sapientissimo del colore e delle dinamiche che
spesso coprono le manchevolezze date dall'uso non familiare con l' idioma
russo. Tomlinson è un Sussanin credibilissimo che si spende fino in fondo per
creare un personaggio pieno di carattere e partecipazione emotiva.
Meravigliosa Kateryna Kasper quale
Antonida: vera voce di soprano lirico di agilità, si muove perfettamente a suo
agio nelle difficoltà della sua parte a partire dalla cavatina del primo atto
risolta, assieme alla cabaletta successiva, con sicurezza e trasporto, con il
più di essere madrelingua russa che sa dare la giusta accentazione alla
fonetica nell'intera rappresentazione.
Così pure il tenore russo Anton Rositskiy nella
parte di Sobinin dalla voce chiara e duttilissima che sa piegarsi senza indugio
alle agilità, così come all' accentuazione drammatico\lirica che il suo
personaggio richiede.
Deludente la prestazione di Katharina
Magiera quale Wanja che se dalla sua ha una scrittura musicale infima
perennemente sulle note di passaggio, ha notevoli problemi di intonazione,
evidenziati soprattutto nel duetto Iwan\Wanja nel quarto atto così come nella
tremenda cabaletta con coro che chiude la scena.
Perfetti nei loro personaggi il
comandante di Thomas Faulkner e il corriere polacco di Michael McCown.
Una menzione e lode a parte
merita il preparatissimo Chor und Extrachor der Oper Frankfurt diretto da
Tilman
Michael che ha saputo brillare per compattezza e duttilità nelle
numerose prove che la partitura richiede.
Successo vivissimo per tutti da
parte di un teatro pieno in ogni ordine di posti.
Pierluigi Guadagni
LA PRODUZIONE
direzione musicale Sebastian
Weigle
regia
Harry Kupfler
scene Hans Schavernoch
costumi
Yan Tax
luci
Joachim Klein
video Thomas Reiner
drammaturgia Norbert
Abel
direttore del coro Tilman
Michael
Coreografie Irene
Klein
Ivan Susanin John
Tomlinson
Antonida Kateryna
Kasper
Sobinin
Anton Rositskiy
Wanja
Katharina Magiera
Un Comandante Thomas
Faulkner
Un Messaggero Michael Mccown
Orchestra, Coro ed Extracoro dell'Opera di Francoforte
Foto Barbara Aumüller