domenica 1 novembre 2015

IWAN SUSSANIN UNA VITA PER LO ZAR, MICHAIL GLINKA - OPER FRANKFURT, 30 OTTOBRE 2015

Opera d'esordio e autentico capolavoro del musicista russo, che senza abusare delle fonti folkloristiche, qui seppe tradurre le melodie nazionali in una composizione di largo respiro, è diventata negli anni modello di riferimento per eccellenza di numerosi  lavori successivi come il Boris o Principe Igor, e con essa si può dire nasca l'opera russa in Russia.

La musica di Glinka rivela in modo inequivocabile l'appartenenza del compositore russo al mondo spirituale dei romantici, ai loro problemi e ai loro obiettivi, anche se la struttura del suo melodramma rimane quella a forme chiuse con arie, cavatine, cabalette di derivazione occidentale con influenze marcate dai lavori di Bellini e Donizetti (che conobbe personalmente durante un suo viaggio in Italia) e talora anche del grand-opèra francese, impostata su una partitura di grande genialità, ricca di colore, trasparenza e suggestione con un' orchestrazione abilissima, tanto da aver ricevuto le lodi di un esperto come Berlioz.


L' allestimento visto all' Opera di Francoforte va lodato innanzitutto per il coraggio avuto nel mettere in scena un lavoro tipicamente russo che richiede uno studio approfondito sia della lingua sia del colore metrico e ritmico dato dalla parola russa, ma anche per aver assemblato un cast che al di fuori dei circuiti dei grandi teatri russi di tradizione, sembra impossibile trovare.

Sebastian Weigle a capo della direzione musicale, a parte qualche taglio nei ballabili del secondo atto, presenta una partitura integrale scegliendo tempi morbidi soprattutto nei momenti corali, e sono tantissimi, sia nei momenti strumentali, prediligendo una concentrazione sul colore piuttosto che sull'accentuazione ritmica a scapito certo di una minore tenuta drammatica di insieme. Riesce tuttavia a dare una sua impronta personale ad una partitura spesso abusata nella sua accezione russa, avvicinandosi di più al colore dell'opera romantica italiana piuttosto che al fiabesco ed al colore espressivo. Ne risulta un lavoro che musicalmente in parte perde il suo fascino “folklorico” ma ne acquista per precisione e scavo della nota.

Harry Kupfer, all'alba dei suoi 80 anni, immagina una messa in scena che si discosta anni luce da quell' armamentario fiabesco e tradizionale tipico di questi lavori, per trasportare l'azione durante la seconda guerra mondiale dove gli invasori polacchi sono soppiantati dai soldati tedeschi.
Ecco allora che nel secondo atto Kupfer fa cantare il coro non più in russo ma in tedesco e così sempre quando non interagiscono con la controparte russa. Se da un lato può risultare interessante per marcare ancora di più la differenza tra due parti nemiche, alla lunga diventa fuorviante dando l'impressione di un pasticcio al quale sicuramente avremmo fatto a meno, così come delle scialbe coreografie di Irene Klein, completamente decontestualizzate.

Le spurie scene di Hans Shavernock, aiutate dai video di Thomas Reimer rimandano ad una desolazione metafisica, nella quale comunque la regia di Kupfer si muove a suo perfetto agio concentrata in maniera efficacissima sulla recitazione dei singoli e sui movimenti delle masse, qui vere protagoniste. L'Epilogo si svolge quindi su di una Piazza Rossa dove dal Mausoleo di Lenin, la nomenklatura russa assiste e celebra la morte degli eroi del popolo diffondendo da altoparlanti su tutta la piazza, il giubilo corale.

Vero mattatore della serata è stato il sempreverde Sir John Tomlison, che dall'alto dei suoi 70 anni celebra un Ivan perfettamente a suo agio nella figura come nella drammaturgia e poco importa se la voce risulti a tratti affaticata o imprecisa, dalla sua parte c'è un uso sapientissimo del colore e delle dinamiche che spesso coprono le manchevolezze date dall'uso non familiare con l' idioma russo. Tomlinson è un Sussanin credibilissimo che si spende fino in fondo per creare un personaggio pieno di carattere e partecipazione emotiva.

Meravigliosa Kateryna Kasper quale Antonida: vera voce di soprano lirico di agilità, si muove perfettamente a suo agio nelle difficoltà della sua parte a partire dalla cavatina del primo atto risolta, assieme alla cabaletta successiva, con sicurezza e trasporto, con il più di essere madrelingua russa che sa dare la giusta accentazione alla fonetica nell'intera rappresentazione.

Così pure  il tenore russo Anton Rositskiy nella parte di Sobinin dalla voce chiara e duttilissima che sa piegarsi senza indugio alle agilità, così come all' accentuazione drammatico\lirica che il suo personaggio richiede.

Deludente la prestazione di Katharina Magiera quale Wanja che se dalla sua ha una scrittura musicale infima perennemente sulle note di passaggio, ha notevoli problemi di intonazione, evidenziati soprattutto nel duetto Iwan\Wanja nel quarto atto così come nella tremenda cabaletta con coro che chiude la scena.

Perfetti nei loro personaggi il comandante di Thomas Faulkner e il corriere polacco di Michael McCown.

Una menzione e lode a parte merita il preparatissimo Chor und Extrachor der Oper Frankfurt diretto da Tilman Michael che ha saputo brillare per compattezza e duttilità nelle numerose prove che la partitura richiede.

Successo vivissimo per tutti da parte di un teatro pieno in ogni ordine di posti.

Pierluigi Guadagni


LA PRODUZIONE

direzione musicale              Sebastian Weigle
regia                                  Harry Kupfler
scene                                Hans Schavernoch
costumi                             Yan Tax
luci                                    Joachim Klein
video                                 Thomas Reiner
drammaturgia                 Norbert Abel
direttore del coro               Tilman Michael
Coreografie                      Irene Klein


Ivan Susanin                   John Tomlinson
Antonida                         Kateryna Kasper
Sobinin                            Anton Rositskiy
Wanja                             Katharina Magiera
Un Comandante            Thomas Faulkner
Un Messaggero              Michael Mccown


Orchestra, Coro ed Extracoro dell'Opera di Francoforte



Foto Barbara Aumüller