Il giovane direttore d'orchestra che abbiamo il piacere di conoscere questa volta è davvero un musicista raffinato e molto particolare, il cui curriculum artistico spazia in diversi campi e sta riscuotendo forti consensi nei prestigiosi teatri che lo ospitano: stiamo parlando di Francesco Lanzillotta. Ricordiamo solo alcuni dei numerosissimi templi della musica in cui ha già lavorato, come il Teatro La Fenice di
Venezia, il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Verdi di Trieste, il Teatro Filarmonico
di Verona ed il Teatro Lirico di Cagliari.. Ha lavorato inoltre con l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, l' Orchestra della Svizzera Italiana, l' Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, l' Orchestra Haydn di Bolzano, la Filarmonica Toscanini di Parma, l' Orchestra Regionale
Toscana, l' Orchestra del Teatro Filarmonico di Verona, la Gyeonggi Philharmonic
Orchestra di Suwon (Korea) e la Sofia Philharmonic Orchestra. Attualmente è direttore principale delll’Orchestra Filarmonica
Toscanini. Abbiamo scambiato alcune battute sulla sua vita professionale, le sue preferenze artistiche ed abbiamo scoperto un ragazzo molto schietto, spontaneo e disponibilissimo a rispondere con serenità e tanta simpatia a tutte le nostre domande.
Una cosa che mi incuriosisce sempre
è come un direttore d’orchestra percepisce il suo modo di dirigere. Come
descriveresti il tuo e cosa secondo te lo distingue da quello dei tuoi colleghi?
Non
è mai facile descrivere il proprio modo di dirigere. La direzione d’orchestra è
un insieme di sensazioni, di impulsi che derivano dal proprio corpo e che si
traducono in una gestualità del tutto personale. Così come ognuno di noi ha il
suo modo di gesticolare mentre comunica con gli altri, inimitabile e unico,
così il “gesto” del direttore deriva dal proprio modo d’essere, dal proprio
vissuto e dalla particolare struttura fisica. Proprio per questo motivo è
assurdo solo pensare di imitare il gesto di un altro. Sarebbe la più grande
limitazione che un direttore imporrebbe alla propria natura. Il mio modo di
dirigere è quindi l’esternazione del mio modo di sentire, senza filtri. Si
distingue dai miei colleghi così come la comunicazione fisica di ciascuno si
distingue dagli altri.
Ormai ti stai affermando nel
panorama mondiale con grande soddisfazione di pubblico e critica: ci vuoi
parlare degli esordi? Come hai cominciato?
La
direzione d’orchestra è stata la passione parallela alla composizione, l’altro
mio grande amore. Ho incominciato a studiarla perché volevo dirigere i miei
pezzi e così è stato. Un giorno, con un gruppo di musicisti stavo provando una
mia composizione, venne in sala un pianista bulgaro amico di uno degli
strumentisti. Durante una pausa mi chiese se volevo accompagnarlo in Bulgaria
per dirigere un concerto per pianoforte e orchestra in cui lui sarebbe stato il
solista. Mi portò a Varna, una bellissima città sul Mar Nero. Dopo il concerto
mi fu offerto di dirigere Cavalleria Rusticana e Pagliacci e subito dopo mi
chiesero di diventare il direttore principale ospite del teatro. Fu
l’esperienza più importante della mia vita perché ogni volta che andavo potevo
dirigere almeno due opere in una settimana. I teatri funzionano così nell’est Europa.
Da quel momento è iniziato tutto.
Altri ricordi cari e momenti che ti
hanno dato maggiore soddisfazione?
Uno
dei ricordi più emozionanti fu la vittoria al concorso di composizione
Valentino Bucchi nel 2005 perché il brano che presentai lo scrissi in ben otto
mesi. Fu un periodo molto intenso e pieno di idee e di scoperte. Altri due
momenti che non dimenticherò sono il debutto con l’orchestra della Rai nel 2012
e il giorno in cui comunicai alla mia famiglia che ero stato nominato direttore
principale alla Filarmonica Toscanini a Parma.
Cosa avresti fatto se non avessi
scelto questa carriera?
Sicuramente
un mestiere in cui sarei stato a contatto con la natura e gli animali. Lo dico
sempre “braccia levate all’agricoltura”!
Quanto conta l’immagine oggi nel mondo
del Teatro d’Opera?
Direi
che conta esattamente come negli altri lavori; una carriera basata solo
sull’immagine è destinata a durare molto poco. Però sfatiamo anche un mito: in
passato l’immagine di un artista aveva una grandissima importanza, non c’è
nulla di nuovo in questo. La differenza è che oggi, grazie ai mezzi di
comunicazione, ci vuole pochissimo per essere in prima pagina ma altrettanto
per sparirne definitivamente. La differenza non è “quanto conta l’immagine” ma
la voracità con cui questo mondo rischia di divorarti e digerirti. In
definitiva se devo dire la mia il problema, se di problema si tratta, va
spostato su quanto un artista “serve” per vendere e di conseguenza per
guadagnare su di lui; l’immagine è la conseguenza di questo meccanismo, aiuta
ad alimentare l’appetito su questo o quello, ma chi gestisce gli ingranaggi sa
già quanto tempo durerà la fame e quanto ci vorrà per essere sazi di
quell’artista.
Come studi una partitura nuova?
Studio
sempre prima l’aspetto formale, la struttura, cerco di capirla e farmi un’idea
su come renderla unitaria e non frammentarla. Poi passo allo studio di tutti
gli aspetti musicali racchiusi nella partitura, mi faccio la mia opinione e
ricomincio da capo per capire come realizzarla, sia sotto il piano strumentale-esecutivo
sia sotto quello puramente tecnico - direttoriale.
Prediligi le partiture per così
dire più ‘drammatiche’ oppure quelle più ‘leggere’, che non è detto siano più
semplici, anzi!? E preferisci sinfonica o opera?
Non
ho delle preferenze specifiche. Diciamo che nel campo sinfonico, non amo la
musica eccessivamente “borghese”, quella troppo “esplicita” che non abbia un
contenuto più profondo. Non a caso Shostakovich è uno degli dei che venero con
il santino e le candeline accese prima di andare a dormire. Non saprei cosa
scegliere fra opera e sinfonica. Premetto che ritengo essenziale per un
direttore fare entrambe le cose per la propria completa formazione. Io in
particolare non potrei fare a meno di una delle due. Confesso però che se mi
chiedessero di dirigere Rossini per tutta la vita sarei felicissimo.
Il rapporto con i tuoi colleghi
direttori d’orchestra? Si può essere amici in questo ambiente?
Il
mio rapporto con i direttori che conosco è ottimo. Proprio la scorsa settimana
sono andato a studiare con un mio collega coetaneo un paio di partiture. Si può
essere amici come lo si può essere con persone che non fanno il nostro lavoro.
L’amicizia però è un qualcosa di estremamente importante nella mia vita e i
veri amici che ho me li porto dietro dai banchi dell’asilo. Siamo cresciuti
insieme e tutt’oggi ci vediamo regolarmente. Nessuno di loro fa il musicista.
Quindi sì, si può essere amici, ma solo se si ha condiviso una parte importante
della propria esistenza, non c’entra la professione ma il lato umano. Secondo
me questo è un altro mito da sfatare; non esiste più l’odio a priori per chi fa
il tuo stesso lavoro, oggi ci conosciamo quasi tutti e, se devo dire, vedo un
livello altissimo di giovani direttori italiani. Fra l’altro non dobbiamo mai
dimenticare una cosa: se un giovane direttore dirige bene in un teatro, sarà
più facile per quella stessa istituzione chiamare, l’anno successivo, un altro
giovane direttore. In definitiva il successo di uno non è mai la sconfitta di
un altro, anzi!
E con i cantanti il rapporto è
sempre facile?
I
cantanti sono un mondo meraviglioso fatto di insicurezza, egocentrismo,
passione, desiderio di apparire, necessità di conferme, poesia e gioia di
salire su quel palco. Sono la parte più affascinante del mondo operistico. A
mio parere il rapporto diventa facile nel momento in cui il cantante capisce
che non vuoi giudicarlo, che non ti interessa se farà o no il “do”, ti
interessa costruire insieme, lavorare in serenità e serietà. In questo modo il
cantante ti darà tutto. Mi sembra evidente che, per una persona che lavora con
il proprio corpo, essere carica di tensione e paure significa automaticamente
dare meno del 50%, il nostro compito dunque è anche quello di far si che
l’ambiente lavorativo sia il migliore possibile in modo tale che ognuno possa
dare il massimo e anche di più. La condivisione è la parola chiave. Condividere
tutto in una produzione, diventare una famiglia, una squadra coesa, aiutarsi e
non farsi la guerra. In questo modo si crea una magia, in questo modo ogni
rappresentazione diventa un evento. Questo è quello che cerco di fare!
Come si concilia un mestiere
“frenetico” come il tuo con la vita familiare/privata?
Direi
una falsità se dicessi che è semplice, però io non perdo mai di vista il fatto
che non sono il mestiere che faccio. Sono un uomo che ha bisogno di diverse
cose per star bene, non solo che i concerti siano un successo. Se mancano
alcune di queste priorità elimino quelle in eccesso per recuperare quel che sto
trascurando.
Un po’ di curiosità: città del
mondo preferita? Dove preferisci stare quando devi rilassarti dopo tanto
lavoro?
Sicuramente
Roma Preferisco stare a casa mia in campagna a rilassarmi e a giocare con i
miei cani!
Dove si mangia meglio e/o peggio?
Cibo preferito?
Viaggiando
molto devo dire che in ogni regione italiana si mangia divinamente. Dovessi
sceglierne una, direi la Sicilia…sono troppo goloso!!! Ho avuto qualche
problemino di digestione in Corea! Il mio appuntamento fisso a Palermo è con
l’Iris fritta ripiena di ricotta pasticcera e gocce di cioccolato.
Superstizioso?
Io?
ma no ti pare? direi proprio di no… si insomma, giusto qualche volta ma niente
di che, magari qualche piccolo gesto scaramantico ma proprio quisquilie..
Hai tempo di dedicarti a degli
hobby, come il cinema, la lettura o qualcos’altro di particolare che ti
appassiona in modo specifico?
Sì,
dedico tutto il tempo libero ai miei hobby. Ne ho tantissimi, dal calcio al
giardinaggio, dai libri al teatro.
Ami più il giorno o la notte?
Amo
le prime ore del mattino.
I tuoi colleghi preferiti del
passato e del presente?
Una
cena con Kleiber non mi sarebbe dispiaciuta affatto! In generale mi trovo bene
con persone semplici, senza sovrastrutture, persone che hanno anche altro nella
vita oltre al proprio lavoro, con un cervello aperto, che credono che il
cambiamento sia l’apertura verso un futuro migliore e non la negazione di un
presunto passato dorato.
Cosa fai poco prima di salire sul
palcoscenico?
Chiacchiero
con i musicisti generalmente. Mi concedo l’ultimo quarto d’ora prima dell’inizio
del concerto, da solo nel mio camerino per concentrarmi.
Come vivi il rapporto con il
pubblico?
Non
ho mai avuto timore del pubblico, anzi! Quando la sala è piena e le aspettative
sono alte non vedo l’ora di salire sul podio. Sicuramente la possibilità che ho
avuto di suonare qualsiasi genere musicale, dal jazz al rock, dal piano-bar
alle serate blues, mi ha permesso di avere un rapporto estremamente naturale e
istintivo con la musica e, di conseguenza, sereno con il pubblico; soprattutto
ho imparato a infischiarmene del giudizio, la croce della maggior parte delle
persone che salgono su un palcoscenico.
Come vedi questo momento di crisi
che attraversa il settore della musica lirica?
Bene
e male nello stesso tempo. Bene perché non credo sia mai esistito un periodo
storico con un livello medio così alto. Orchestre, solisti, cantanti, direttori
e registi non sono mai stati così preparati. Spesso si rimpiange il passato ma
io mi chiedo: avete mai ascoltato le registrazioni di 50 anni fa? Non parlo dei
grandissimi artisti, della Callas o di Gigli, parlo di nomi “normali”, parlo
del livello medio dell’epoca. Siamo così sicuri che il prima è sempre meglio
del dopo? Per me non c’è minimamente paragone. Basti pensare a come venivano
sventrate le opere e a cosa veniva proposto al pubblico. Il discorso è sempre
lo stesso e si ripete di generazione in generazione: il futuro spaventa
incredibilmente così come i suoi cambiamenti. Invece l’aspetto negativo è che
molte cose non funzionano. Ovviamente la colpa viene sempre data a noi che ci
mettiamo la faccia, a noi che saliamo sul podio o sul palcoscenico. Io sono
fortemente convinto che le responsabilità siano di altre persone. Chiaramente
però è facile scaricare tutto sulle categorie più deboli, quelle non tutelate.
Sarebbe interessante fare un’indagine sulle condizioni in cui molto spesso ci
ritroviamo a lavorare, sulle difficoltà extramusicali. Dico solo una cosa:
questo è l’unico mestiere al mondo in cui la vita professionale di un artista
viene gestita da persone che, spesso, ne sanno meno di noi. Da loro dipende il
nostro futuro…
Cosa ti aspetti dalla tua vita
professionale?
Mi
aspetto di conservare sempre la freschezza e la naturalezza che ho nel fare
questo mestiere e, soprattutto, di continuare a divertirmi.
Ricordi qualche episodio simpatico
nel backstage o in scena che ti piacerebbe condividere?
Ne potrei raccontare tanti ma uno in particolare fu memorabile. In realtà non
era nel backstage ma in recita. Dirigevo Traviata a Sassari in una produzione
con una giovanissima Francesca Dotto. Nella scena finale del secondo atto,
“Alfredo, Alfredo, di questo core non puoi comprendere tutto l’amore”, scena
drammatica e fortissima, tutto il coro e i solisti sul palco, uno dei momenti
più belli e toccanti dell’opera, mentre Francesca canta mi si incastra la
bacchetta sotto il leggio. Facendo leva di primo grado parte ad una velocità
supersonica scavalcando tutta la buca e finendo sul palco. Il dramma fu che in
quel momento stavano tutti guardando verso di me perché dopo qualche secondo
sarebbe iniziato il concertato finale. Tutti incominciarono a ridere e per non
farsi vedere c’era chi abbassava la testa, chi si girava dall’altra parte
mentre la povera Francesca doveva rimanere seria perché ciò che cantava non era
esattamente allegro. Ovviamente incominciai a ridere pure io e, di conseguenza,
anche l’orchestra. Non me lo dimenticherò mai!
Prossimi impegni e progetti?
Adesso
sono molto concentrato sull’attività dell’Orchestra Filarmonica Toscanini.
Stiamo programmando la prossima stagione per cercare di dare al nostro pubblico
qualcosa di nuovo e stimolante, riscoprendo una grossa fetta della musica
italiana strumentale di fine ’800 e prima metà del ‘900. Eseguiremo compositori
quasi dimenticati con musica di una bellezza disarmante ma senza dimenticare i
grandi classici. Sarà una stagione esaltante. Sarò poi impegnato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra
della Svizzera Italiana. La prossima estate sarò allo Sferisterio di Macerata per dirigere Rigoletto e in autunno alla Fenice di Venezia con La voix humaine e
tante altre belle cose!
Non c'è che dire: ancora una volta posso affermare con soddisfazione che l'Italia è piena di artisti in gamba di cui essere fieri. Francesco Lanzillotta dimostra grande sensibilità ed è anche una persona molto disponibile e simpatica. Lo ringrazio davvero per il tempo che ci ha dedicato e gli auguro di coronare una vita di successi e di grandi traguardi che portino sempre più alto il nome del nostro bel Paese ovunque!
Maria Teresa Giovagnoli