Per
il decimo appuntamento della stagione sinfonica il Teatro Filarmonico di Verona
ha presentato un programma bellissimo e di grande richiamo che può essere
considerato uno dei più significativi della stagione.
Per
la gioia dei presenti l’orchestra dell’Arena di Verona è stata chiamata ad
eseguire il Concerto n. 2 in si
bemolle maggiore per pianoforte e
orchestra op. 83 di
Johannes Brahms, la suite sinfonica Shéhérazade, op. 35 di
Nikolai Rimskij-Korsakov e tra le due mastodontiche performance, anche il pezzo
contemporaneo Dai calanchi di
Sabbiuno di Fabio Vacchi.
Il Concerto di Brahms datato 1881, rappresenta un’
incredibile sfida per gli esecutori al pianoforte, data la sua difficoltà, ma
soprattutto per l’intensità interpretativa che esso richiede. Alla prova sul
palco è stato chiamato un Artista che non ha bisogno di presentazioni nel nostro
paese data la sua intensa attività anche da docente in Italia: Boris Petrushansky.
A dirigere l’orchestra il Maestro Gudni Emilsson,
anch’esso già noto per le precedenti stagioni
sinfoniche al Filarmonico, ove dirige per la terza volta.
Il maestro Boris Petrushansky
ha mostrato cosa significhi immergersi completamente in quello che si sta
eseguendo, come se la musica fosse essa stessa parte delle sue braccia e venisse
fuori come un impeto richiamato dall’orchestra. Il tocco è deciso, indiscutibile
perizia tecnica. Gli archi fanno da contorno corposo, l’orchestra propone un
suono forte ed asciutto allo stesso tempo. Il maestro Emilsson infatti, in
questa prima parte del concerto, pur dirigendo con molta enfasi, non cede alla
tentazione di trascinare il suono in maniera da sovrastare il solista, che
invece è protagonista assoluto. Il suono carezzevole del terzo movimento, per
esempio, sorprende per delicatezza esecutiva e rimanda l’ascoltatore all’immagine
di una barca che si allontana lentamente all’orizzonte fino a lasciare solo la
visione delle piccole increspature dell’acqua baciata dal vento. Il maestro
torna poi ad imprimere forza e corposità al suono nel quarto e travolgente
movimento finale.
In
apertura della seconda parte il breve brano di Vacchi scritto nel 1995 e poi
ripreso fino al 1997, composto per commemorare il cinquantesimo anniversario
della Resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Il titolo
richiama appunto al luogo che vide trucidate circa cento persone dai nazisti in
quel periodo infernale di guerra. Chiaro ed evidente il concetto di precarietà,
di sdegno e dolore nelle note che il direttore ha diretto senza bacchetta, come
a volere assecondare questi fasci di melodia non propriamente definita con
entrambe le braccia libere. Il ritmo è regolare, scandito dal suono della
campana che quasi richiama all’ordine. Atmosfera
‘sospesa’ che attrae, fa riflettere.
Infine,
la meravigliosa ed appassionata Shéhérazade
a chiudere il concerto. L’energia che il Maestro
Emilsson ha impresso ai musicisti ha coinvolto tutto il pubblico ipnotizzato. Questa
suite orchestrale del 1888 di magnifico richiamo orientale, è uno dei più
conosciuti ed apprezzati da appassionati esperti e non, ed il Maestro lo ha
diretto con una enfasi incredibilmente compartecipe. Ha danzato sul podio, ha
dialogato con i musicisti per un effetto di simbiosi ed un risultato maestoso. Come
una valanga che investe in pieno senza colpo ferire, l’orchestra ha eseguito
con forza, passione e dolcezza estreme le quattro parti di questa composizione
che ha fatto sognare davvero di essere immersi in una di quelle Mille e una notte…
Applausi interminabili e plurime
chiamate sul palco al Maestro Petrushansky, ed al Maestro Emilsson. Tanta emozione,
tanta gioia, grande musica per grandi interpreti, un concerto di grandissimo
successo.
MTG