La
stagione lirica della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia in corso va ad
arricchirsi di un raro titolo datato 20 maggio 1961, che proprio nel teatro
veneziano vide la luce nella sua versione definitiva del 1988: Elegy for young
lovers di Hans Werner Henze. L’opera fu scritta dopo che l'autore ebbe fatto la conoscenza in
Italia dei librettisti inglesi W. H. Auden e Chester Kallman, già
autori del libretto The Rake’s Progress per Stravinskij. La sua prima
rappresentazione avvenne allo Schwetzingen Festspiele di Monaco.
Per
l’occasione è il teatro Malibran ad ospitare le vicende del poeta Gregor Mittenhofer che non esita ad usare le
sventure delle persone a sé vicine per trarre ispirazione per i suoi versi. È costui
un essere posto su di un piano superiore rispetto ai comuni mortali non dediti
all’arte, concentrato solo su di sé e sulla propria ‘missione’. Se dapprima
sembra la sventurata e anziana vedova Hilda Mack, un’ospite dell’albergo
austriaco ove soggiornano tutti i protagonisti, ad attirare la sua attenzione, sono
successivamente due poveri innamorati a completare inconsapevolmente l’opera
dell’artista, con la loro prematura scomparsa tra i monti dello Hammerhorn.
Ecco
dunque rappresentata l’ostinatezza di un artista nel voler a tutti i costi
realizzare il suo capolavoro, anche al prezzo della vita di altri. Quasi gode nel
vedere la vedova vagheggiare e lamentarsi in attesa di un marito che non farà
più ritorno. Così come è agghiacciante il suo ‘…not that I know of’, con cui nega
alla guida alpina che vi sia qualcuno in balia della tormenta, i due giovani
appunto. E tali personaggi ruotano intorno a questa figura quasi trasognanti, impotenti di fronte all’arte che ‘deve’ fare il suo percorso: la devota segretaria, la vedova inconsolabile, il suo fedele dottore, e naturalmente la giovane Elisabeth, essa stessa inizialmente amante del poeta, poi innamorata del giovane sconosciuto, col quale viene spinta crudelmente verso il suo destino di morte.
L’organico
orchestrale è decisamente ridotto e non vi è presenza di coro. La narrazione è
portata avanti da continui impulsi sonori che non dimenticano la bellezza dell’elegia
armoniosa quando gli eventi la richiedono. Privilegiate le percussioni, se pur ridotte in
questa versione definitiva, ove anche il duetto tra gli amanti del terzo atto fu eliminato dall’autore. Protagoniste assolute le voci dei personaggi, che
esaltano la loro interiorità, con una linea melodica non immediatamente
definibile, ma via via sempre più assimilabile, a mano a mano che l’ascoltatore
entra nella psiche e nei caratteri posti in essere dagli interpreti. Voci che
riecheggiano anche nel finale, quando mestamente e da lontano accompagnano l’
elegia finalmente compiuta, declamata dal suo autore, ma priva di alcuna
parola, piena solo di pianto.
Scene
e regia di questa produzione furono ideate da Pier Luigi Pizzi nel
2005 per il teatro delle muse di Ancona insieme al San Carlo di Napoli; in
questa occasione la regia è stata ripresa da Massimo Gasparon. Con
una scena fissa per i tre atti rappresentati senza soluzione di continuità, ci
troviamo di fronte ad una piattaforma in legno ove sono posti semplicemente una
scrivania, alcune sedie, con intorno una specie di ringhiera che affaccia su
di un bosco piuttosto desolante a sfondo chiaro con i monti in lontananza. In questo
ambiente già freddo di per sé la compagine canora è riuscita a creare un’atmosfera
di pathos in grado di tenere ben salde le redini degli accadimenti per ben due
ore abbondanti di spettacolo.
Perverso
e ben immerso nel suo ruolo di poeta Super-Io Giuseppe Altomare:
non solo una interpretazione ‘vissuta’ , ma anche cantata con energia ed enfasi,
come il ruolo dell’artista pieno di sé e senza scrupoli richiede.
È
parsa molto in forma il soprano Gladys Rossi nei panni della
povera pazza Hilda Mack: la sua voce
riesce a plasmarsi ai dettami della complicata linea di canto richiesta dalla
partitura, completando la performance con una recitazione molto convincente.
La accompagnano bene con grinta e voce ben salda
anche Olga
Zhuravel come Carolina e Zuzana Markova nei
panni di Elisabeth Zimmer, con voce delicata ma sicura e dal bel timbro ricco. Altrettanto
si fanno valere il tenore John Bellemer nei panni dell’innamorato
Toni, con voce melodiosa e lineare, nonché il bravissimo Roberto Abbondanza,
il dottor Reischmann, vocalmente robusto
e sicuro di sé dal punto di vista attoriale. Completano il cast nel ruolo recitato della
guida alpina, Francesco Bortolozzo, ed i due mimi Roberto Adriani, Davide Tonucci.
Equilibrata,
immersa nella vicenda, mai sopra le righe pur con suono pieno e vibrante la
puntuale orchestra del Teatro La Fenice in ridotto organico con alla guida Jonathan
Webb .
Pubblico
non numerosissimo per questa prima recita al Malibran, che ha comunque apprezzato
lo spettacolo omaggiando tutti gli interpreti in generale ed il Maestro Webb.
MTG
LA
PRODUZIONE
Maestro concertatore e
direttore Jonathan
Webb
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Regia ripresa da Massimo Gasparon
Light designer Vincenzo Raponi
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Regia ripresa da Massimo Gasparon
Light designer Vincenzo Raponi
GLI
INTERPRETI
Gregor Mittenhofer Giuseppe
Altomare
Dr. Wilhelm Reischmann Roberto Abbondanza
Toni Reischmann John Bellemer
Elisabeth Zimmer Zuzana Markova
Carolina Grafin von Kirchstetten Olga Zhuravel
Hilda Mack Gladys Rossi
Josef Mauer Francesco Bortolozzo
Dr. Wilhelm Reischmann Roberto Abbondanza
Toni Reischmann John Bellemer
Elisabeth Zimmer Zuzana Markova
Carolina Grafin von Kirchstetten Olga Zhuravel
Hilda Mack Gladys Rossi
Josef Mauer Francesco Bortolozzo
Mimi Roberto
Adriani, Davide Tonucci
Orchestra
del Teatro La Fenice
in
lingua originale con sopratitoli in italiano
allestimento
Fondazione Teatro delle Muse di Ancona
(spettacolo
vincitore del premio speciale al Premio Abbiati 2005)
Foto Michele Crosera