Inaugurazione
della stagione d’opera 2013/2014 al Teatro Filarmonico di Verona con un titolo
molto popolare ed amato, il Don Pasquale di Gaetano Donizetti, che con il
Natale oramai velocemente alle porte, si inserisce piacevolmente nell’atmosfera
gioiosa e giocosa che investe la città di Verona in questo periodo di festività.
Sicuramente
sull’allegria ha voluto giocare Antonio Albanese chiamato a
curare la parte registica della produzione, coadiuvato dalle scene di Leila Fteita
ed i costumi di Elisabetta Gabbioneta. Quello che si nota in generale è
certamente la volontà di fornire allo spettacolo freschezza e modernità,
aggiungendo qualche particolare spunto che vuole essere innovativo, ma che purtroppo non
sempre si rivela utile alla rappresentazione. Trovandosi in terra veneta il dramma buffo in
questione è ambientato nei vigneti della provincia veronese e dunque il vecchio
Don Pasquale è il proprietario di una azienda agricola che ha fatto fortuna
producendo i suoi vini.
In
apertura, nel primo atto, ci troviamo di fronte ad una immensa scaffalatura a
parete ove sono stipate centinaia di bottiglie vuote innanzi alla quale il
vecchio celibe ed il suo amico, il dottor Malatesta, discutono della fanciulla
destinata a diventare la sua signora. Oltre ai consueti domestici è stato introdotto
il personaggio muto della fedele governante, che si rivela essere la sorpresa
del finale. Successivamente la scena in casa di Norina è stata spostata proprio
tra le vigne ove sta lavorando la ragazza insieme ad altri braccianti, i quali si
producono in improbabili movimenti ad imitazione dei gesti della fanciulla,
quando essa accetta il piano di gabbare il padrone di casa ordito dal furbo
dottore.
Tale piano astuto viene stipulato davanti a delle file di alberi di
vite riprodotti sul palco e perfettamente allineati uno dietro l’altro.
Nel secondo
atto siamo finalmente a casa di Don Pasquale, dove, come frequentemente in uso
attualmente, operai in azione si apprestano a completare l’arredamento della
sala in cui avviene l’incontro tra i due promessi sposi. Il notaio dal ciuffo
ribelle, occhialini e completo a quadri è perfettamente in tono con gli altri
uomini in scena, abbigliati in simil fattura. Si torna tra gli alberi nel terzo
atto, che per ricordare il giardino del protagonista, sono stati ricoperti di
fiori di vario tipo.
Il povero Ernesto, per non essere scorto dal vecchio
geloso, qui indossa un mantello ornato di fiori cuciti ad esso per mimetizzarsi
all’arrivo dell’uomo. Infine, dopo il disvelamento del matrimonio burla ed il
perdono, con conseguente fidanzamento dei due giovani, la fedele governante si
dirige verso il suo ‘vecchietto’ abbracciandolo e lasciando intendere che,
secondo il regista, sarà lei la prescelta di Don Pasquale, forse più adatta
alla sua età ed alle sue forze.
Possiamo dire in conclusione che non manca di brio e leggerezza tutto lo spettacolo e che l’idea
di base sembra buona. Forse però alla fine della rappresentazione la sensazione
che resta è quella per cui ci si sarebbe aspettati quel quid che la caratterizzasse e che poi non è più arrivato.
Sul
fronte canoro una compagnia affiatata, che si è impegnata soprattutto sul
fronte recitativo.
La
furba Norina/Sofronia è il soprano Irina Lungu, che sviluppa
molto bene il personaggio con la giusta vena comica che pervade in tutto lo
spettacolo. Le sue mossette ed espressioni facciali sono avvalorate da una
emissione canora sicura, facilità nel fraseggio e buon volume.
Il
gabbato Don Pasquale, Simone Alaimo, ha curato
soprattutto il fronte attoriale della sua prestazione, dando al suo personaggio
una verve spiritosa e forza d’animo, come si confà ad un uomo orgoglioso che
pur se preso in giro, trova il modo di uscirne comunque vincitore in
qualche modo.
L’Ernesto
di Francesco Demuro non è stato all’altezza
delle aspettative. Il tenore ha una voce molto bella: pastosa e melodiosa. Ma tende
a forzare sull’acuto ove non occorre, sicché il suono non risulta morbido e
pecca di alcune stimbrature.
Bene
il Malatesta di Mario Cassi, che unitamente ad
una spiccata propensione attoriale, ha
un bel colore di voce corposo, che tende però talvolta a colpire sugli
attacchi. Dignitoso
il notaio Antonio Feltracco, simpatico
e spigliato.
Il
coro della fondazione Arena ha un bell’impasto vocale, ma vi sono stati diversi
problemini di tempo, soprattutto durante la non originalissima incursione in
platea nel terzo atto.
Con
brio e molta partecipazione Omer Meir Wellber è alla
testa dell’orchestra dell’Arena di Verona, che trova bei colori e sicuramente
forza espressiva, peccando leggermente nei volumi che tendono a sovrastare i
cantanti impegnati in scena. Inoltre, superando certi sfasamenti verificatisi tra buca e palco, l’esecuzione risulterebbe maggiormente degna delle doti di
questo giovane artista talentuoso.
Il
pubblico presente ha mostrato di gradire molto lo spettacolo, omaggiando con
ovazioni tutti i protagonisti ed il Maestro Wellber.
MTG
LA PRODUZIONE
Direttore
d'orchestra
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Omer Meir Wellber
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Regia
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Antonio Albanese
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Scene
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Leila Fteita
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Costumi
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Elisabetta Gabbioneta
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Maestro del coro
Armando Tasso
Direttore
Allestim.scenici Giuseppe
De Filippi Venezia
GLI INTERPRETI
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Don Pasquale
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Simone Alaimo
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Malatesta
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Mario Cassi
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Norina
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Irina Lungu
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Ernesto
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Francesco Demuro
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Un notaro
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Antonio Feltracco
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ORCHESTRA, CORO
E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA