Penultimo
titolo in programmazione al Festival del Centenario, Rigoletto completa la
trilogia popolare in Arena a Verona, dopo Traviata e Trovatore. In quest’Opera dalle
tinte fosche, il riso beffardo del giullare di corte non è altro che la
maschera di un uomo che non ha nulla, se non l’amore per la figlia come impagabil tesor. Essere costretto a far
divertire una razza vile e dannata, fingere di essere allegro quando in seno
cresce una serpe che consuma e logora la mente, è un destino che porta quasi sempre
a colpire se stessi o gli affetti più cari. Il ruolo di Gilda, l’adorata figlia
del deforme protagonista, non è solo quello di una fanciulla indifesa che viene
ingannata dall’uomo che tanto ama, ma è anche l’immagine di una figura
femminile con la propria dignità, una eroina che non può permettere si compia
un delitto atroce né nei confronti dell’amato, né di chiunque altro. Si immola
essa stessa, lasciando il genitore nello strazio più totale.
Ed
ecco che nella collaudata regia di Ivo Guerra, grazie alle scene di Raffaele Del Savio ed agli splendidi costumi di
Carla Galleri, possiamo immergerci in tutte queste
sensazioni. Lo sfarzo del primo atto, con la corte di Mantova in grande
spolvero, il palazzo del Duca riccamente allestito, uno splendido balletto di
tritoni e sirene ad allietare gli astanti, lascia presto il posto alla
silenziosa piazza antistante la casa di Rigoletto in un’atmosfera decisamente
più contenuta, ove si susseguono il duetto d’amore ed il rapimento subito
dopo. Ancora, nel secondo atto, una splendida scalinata con arco centrale fa
da sfondo alle confidenze della fanciulla oltraggiata ed alla successiva
tanto invocata tremenda vendetta. Infine,
ultimo atto nella foschia, con in primo piano la locanda di Sparafucile e sua
sorella sulla destra del palco. Padre e figlia arrivano su di una barca ed
assistono alle prodezze del Duca da dietro una rete eretta a mo’ di separé
poco distante dall’ingresso della locanda stessa. Imponente e sempre presente
sin dall’inizio, il castello di Mantova in lontananza. Una scenografia
tradizionale che costituisce una garanzia di successo evergreen.
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Se
è ovvio che il cardine di tutta la vicenda è il vecchio gobbo maledetto, ancora
di più lo è con il protagonista della serata, un Leo Nucci che ancora una volta
mostra di avere sempre tantissime cartucce da sparare, mettendo a segno un colpo
dopo l’altro. Il suo Rigoletto è un uomo ‘vissuto’, che riesce ad equilibrare e
rendere credibile, sia il buffone sprezzante che non teme i cortigiani, sia il
padre fin troppo adorante della propria figlia, e pertanto drammaticamente
sopraffatto dagli eventi. È l’indiscusso re della scena su cui si muove
agilmente, canta senza risparmio un ruolo fortemente suo, ipnotizzando il
pubblico con ‘Cortigiani, vil razza dannata’, e conquistandolo definitivamente
con l’immancabile bis della ‘Vendetta’.
Splendida
sorpresa della serata, il debutto in Arena della giovane Olga Peretyatko nei
panni di Gilda. L’interprete coglie il senso della vicenda con sensibilità e passione.
Il suo incedere lieve ma deciso, la sua espressività, unitamente ad una voce uniforme
in tutta la gamma, dalla pasta soavemente acuta, sì da riecheggiare come un
usignolo tra i boschi, ne decretano un successo pieno.
Molto adatto alla parte il tenore Saimir Pirgu, è un Duca affascinante e interessante. L’interprete ha messo in luce il
lato passionale del personaggio, risultando convincente soprattutto nel duetto
con Gilda e nell’aria ‘Ella mi fu rapita!’. La sua voce sale molto in alto e si
sfoga a pieno con l’applauditissima ‘La donna è mobile’, che non è stata bissata
nonostante le richieste, evidentemente per motivi di tempo.
Altra
piacevole sorpresa lo Sparafucile di Andrea Mastroni:
la facilità con cui si sofferma sulle note profondamente gravi, grazie al suo
strumento bruno e dai toni quasi misteriosi, rende decisamente credibile l’interpretazione.
Sua sorella Maddalena è una ormai avvezza al ruolo Anna Malavasi. Il suo temperamento e la voce corposa
trovano un buon adattamento a questo ruolo, rendendo nel complesso positiva la
sua prova.
Bella
voce piena per il Monterone di Abramo Rosalen, anche ben interpretato,
e la Giovanna di Milena Josipovic , eseguita correttamente.
Bene anche la resa interpretativa dei ruoli di Matteo Borsa e del Conte di Ceprano,
rispettivamente Saverio Fiore e Dario Giorgelè, nonché di Marullo, Marco Camastra. Completano il
cast Francesca Micarelli , Victor Garcia Sierra e Irene Favro, alias la Contessa
di Ceprano, l’usciere di corte ed il paggio della contessa.
A
capo dell’Orchestra veronese debutta dopo il gala verdiano il Maestro Riccardo Frizza. La
sua lettura dello spartito è attenta e priva di eccessi, con una
sottolineatura dei momenti drammatici, ma senza appesantire l’organico.
Il Coro diretto da Armando
Tasso ha un bell’impasto
vocale e si trova decisamente più a suo agio quando non è costretto a cantare
in gruppi distanti sull’immenso palco dell’anfiteatro.
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Ancora una serata decisamente d'atmosfera, un successo
pieno per tutti, con ovazioni per Nucci, Peretyatko, Frizza.
LA PRODUZIONE
Direttore d'orchestra
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Riccardo Frizza
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Regia
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Ivo Guerra
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Scene
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Raffaele Del Savio
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Costumi
Direttore
del coro
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Carla Galleri
Armando Tasso
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GLI
INTERPRETI
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Il Duca di Mantova
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Saimir Pirgu
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Rigoletto
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Leo Nucci
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Gilda
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Olga Peretyatko
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Sparafucile
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Andrea Mastroni
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Maddalena
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Anna Malavasi
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Giovanna
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Milena Josipovic
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Il Conte di Monterone
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Abramo Rosalen
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Marullo
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Marco Camastra
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Matteo Borsa
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Saverio Fiore
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Il Conte di Ceprano
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Dario Giorgelè
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La Contessa di Ceprano
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Francesca Micarelli
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Un usciere di corte
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Victor Garcia Sierra
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Un paggio della duchessa
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Irene Favro
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ORCHESTRA, CORO E TECNICI
DELL’ARENA DI VERONA