martedì 23 luglio 2013

UN BALLO IN MASCHERA – GIUSEPPE VERDI, TEATRO ALLA SCALA , MILANO, 22 luglio 2013, ore 20.00

“Trasvolai nel manto serrato,
Così che m'han preso per un dell'agguato,
E intesi taluno proromper: L'ho visto,
È il sire; un'ignota beltade è con esso.
Poi altri qui volto: Fuggevole acquisto!
S'ei rade la fossa, se il tenero amplesso
Troncar di mia mano repente saprò. “

Nuova produzione del Teatro alla Scala, questo Ballo in Maschera verdiano ce lo ricorderemo per parecchio tempo....
Capolavoro di perfetta ambiguità ed equilibrio, perennemente in bilico tra commedia e tragedia, tra seicento e settecento, tra America ed Inghilterra, il capolavoro Verdiano è la sintesi completa di come il gioco delle parti a volte non sempre riesca come si vorrebbe.
E a trarre le fila di questo gioco delle parti è stato chiamato nel teatro meneghino, Damiano Michieletto, talentuoso regista veneziano che più volte ci ha regalato momenti di vero godimento visivo e intellettivo, in altre produzioni, in altri teatri.
Per il Teatro alla Scala, avvalendosi delle tecnicissime scene di Paolo Fantin e dei volutamente anonimi costumi anni novanta di Carla Teti, Michieletto ha pensato ad un Ballo in Maschera marcatamente provocatore, ideato su una concettualità di base che vede l'azione trasportata in una America di Nixoniana o Reganiana memoria, e in effetti più volte durante la recita sembrava di assistere ad una recita di 'Nixon in China' piuttosto che al Ballo in Maschera Verdiano.
L' idea di Michieletto non disturba l'azione, anzi molto spesso la valorizza e la rende molto interessante, il fatto stesso di attualizzarla e contestualizzarla in scene che oggi ci appaiono di frequente e in ambienti scenografici a noi comuni, risulta intellettualmente un gioco stimolante e che paga sotto il profilo della curiosità e dell'interesse al rinnovare un libretto già di suo perfetto.
L' unico problema della produzione intellettiva di Michieletto è però un altro: sa già di vecchio e di già visto.
Potrei citare così a memoria le produzioni di Pizzi a Piacenza o di De Tomasi a Fidenza qualche anno fa, dove già allora vedemmo un' Ulrica santona o imbonitrice televisiva e un Riccardo politico americano, e ancora il Riccardo politico con Oscar segretario\a a Berlino per la regia di Morabito, oppure le puttane sul cavalcavia che si menano del Parsifal di Bieito, per non parlare delle sagome della scena finale già viste e riviste in numerose produzioni di Lehnohff o di Kusej.
Michieletto comunque ci mette del suo e alla fine porta a casa uno spettacolo interessante ma non memorabile.

La produzione musicale vedeva sul podio del Piermarini Daniele Rustioni.
Affidare ad un ragazzo, seppur talentuoso, una partitura piena di insidie e di richieste di massimo studio e maturità come quella del Ballo verdiano, credo non sia stata una scelta felicissima da parte del Teatro alla Scala.
Rustioni ci presenta una concertazione legata alla più frusta tradizione, appesantita però da una completa mancanza di un'idea, di un brivido, di un'emozione.
L'orchestra della Scala ci mette del suo, risultando spesso svogliata e imprecisa, negli assiemi come nelle scelte agogiche spesso pericolosamente al limite della tenuta d'assieme.

Precisa e volenterosa la prova del coro guidato da Bruno Casoni.
Amelia era Sondra Radvanosky.
La cantante americana possiede un organo vocale potentissimo, di una tenuta esemplare, con acuti precisi e sicuri. Riuscisse a regalarci qualche modulazione dinamica, e una dizione più precisa, risulterebbe un' Amelia validissima. Prova comunque di alto livello.

Marcelo Alvarez era Riccardo.
Generosissimo cantante, Alvarez non si risparmia per tutta la recita, tratteggiando un Riccardo spavaldo e gigione (forse troppo a volte). Voce calda e suadente quella del tenore argentino che pecca a volte solamente per qualche attacco eccessivamente scoperto o per un fraseggio non proprio esemplare.

Zeljko Lucic era Renato.
Il baritono serbo, probabilmente terrorizzato dal clima in sala, ha fatto una recita in divenire.
Sfocato e spinto nel canto di conversazione nel primo atto, nel secondo e terzo atto si risolleva regalandoci un “Eri tu” encomiabile per finezza e interpretazione.

Ulrica era Marianne Cornetti.
Artista completa e precisa, la Cornetti incesella un'esecuzione da manuale, nonostante i segni del tempo comincino a farsi sentire e la sua salita alla parte superiore del rigo musicale risulti faticosa, la Signora Cornetti è e rimane una grande artista.

Serena Gamberoni era Oscar, e ci regala un Oscar  preciso e bello, avallato da una voce baciata dalla natura sicura e chiarissima, degna allieva della sua compianta maestra Alida Ferrarini dalla quale ha imparato sicuramente il fraseggio pulitissimo e una tecnica formidabile.
Forse complice la gravidanza, il caldo opprimente di questi giorni e la soporifera direzione di Rustioni, qualche volta è risultata sfasata negli assiemi e in qualche battuta nel tremendo concertato finale della scena quarta del terzo atto, ma la sua rimane una prova comunque maiuscola.

Precisi e bravi il Samuel di Fernando Rado e il Tom di Simon Lim.
Sprecata per una parte cosi piccola la bellissima voce di Alessio Arduini come Silvano, ci auguriamo di sentirlo presto in altri ben più impegnativi ruoli.
Corretti il giudice di Andrej Glowienka e il servo di Amelia di Giuseppe Bellanca.

Applausi convinti per tutti e qualche contestazione per Rustioni.

Pierluigi Guadagni

LA PRODUZIONE

Direttore        Daniele Rustioni
Regia              Damiano Michieletto
Scene              Paolo Fantin
Costumi         Carla Teti
Luci                Alessandro Carletti

GLI INTERPRETI

Riccardo        Marcelo Álvarez
Renato           Zeljko Lucic
Amelia            Sondra Radvanovsky

Ulrica             Marianne Cornetti
Oscar              Serena Gamberoni
Silvano           Alessio Arduini
Samuel           Fernando Rado
Tom                Simon Lim
Un giudice     Andrzej Glowienka
Un servo        Giuseppe Bellanca

d’Amelia