“Trasvolai
nel manto serrato,
Così che m'han preso per un dell'agguato,
E intesi taluno proromper: L'ho visto,
È il sire; un'ignota beltade è con esso.
Poi altri qui volto: Fuggevole acquisto!
S'ei rade la fossa, se il tenero amplesso
Troncar di mia mano repente saprò. “
Così che m'han preso per un dell'agguato,
E intesi taluno proromper: L'ho visto,
È il sire; un'ignota beltade è con esso.
Poi altri qui volto: Fuggevole acquisto!
S'ei rade la fossa, se il tenero amplesso
Troncar di mia mano repente saprò. “
Nuova produzione
del Teatro alla Scala, questo Ballo in Maschera verdiano ce lo ricorderemo per
parecchio tempo....
Capolavoro di
perfetta ambiguità ed equilibrio, perennemente in bilico tra commedia e
tragedia, tra seicento e settecento, tra America ed Inghilterra, il capolavoro
Verdiano è la sintesi completa di come il gioco delle parti a volte non sempre
riesca come si vorrebbe.
E a trarre le
fila di questo gioco delle parti è stato chiamato nel teatro meneghino, Damiano
Michieletto, talentuoso regista veneziano che più volte ci ha regalato momenti
di vero godimento visivo e intellettivo, in altre produzioni, in altri teatri.
Per il Teatro
alla Scala, avvalendosi delle tecnicissime scene di Paolo Fantin e dei
volutamente anonimi costumi anni novanta di Carla Teti, Michieletto ha pensato
ad un Ballo in Maschera marcatamente provocatore, ideato su una concettualità
di base che vede l'azione trasportata in una America di Nixoniana o Reganiana
memoria, e in effetti più volte durante la recita sembrava di assistere ad una
recita di 'Nixon in China' piuttosto che al Ballo in Maschera Verdiano.
L' idea di
Michieletto non disturba l'azione, anzi molto spesso la valorizza e la rende molto
interessante, il fatto stesso di attualizzarla e contestualizzarla in scene che
oggi ci appaiono di frequente e in ambienti scenografici a noi comuni, risulta
intellettualmente un gioco stimolante e che paga sotto il profilo della
curiosità e dell'interesse al rinnovare un libretto già di suo perfetto.
L' unico
problema della produzione intellettiva di Michieletto è però un altro: sa già
di vecchio e di già visto.
Potrei citare
così a memoria le produzioni di Pizzi a Piacenza o di De Tomasi a Fidenza qualche
anno fa, dove già allora vedemmo un' Ulrica santona o imbonitrice televisiva e
un Riccardo politico americano, e ancora il Riccardo politico con Oscar
segretario\a a Berlino per la regia di Morabito, oppure le puttane sul
cavalcavia che si menano del Parsifal di Bieito, per non parlare delle sagome
della scena finale già viste e riviste in numerose produzioni di Lehnohff o di
Kusej.
Michieletto
comunque ci mette del suo e alla fine porta a casa uno spettacolo interessante
ma non memorabile.
La produzione
musicale vedeva sul podio del Piermarini Daniele Rustioni.
Affidare ad un
ragazzo, seppur talentuoso, una partitura piena di insidie e di richieste di
massimo studio e maturità come quella del Ballo verdiano, credo non sia stata
una scelta felicissima da parte del Teatro alla Scala.
Rustioni ci
presenta una concertazione legata alla più frusta tradizione, appesantita però
da una completa mancanza di un'idea, di un brivido, di un'emozione.
L'orchestra
della Scala ci mette del suo, risultando spesso svogliata e imprecisa, negli
assiemi come nelle scelte agogiche spesso pericolosamente al limite della
tenuta d'assieme.
Precisa e
volenterosa la prova del coro guidato da Bruno Casoni.
Amelia era
Sondra Radvanosky.
La cantante
americana possiede un organo vocale potentissimo, di una tenuta esemplare, con
acuti precisi e sicuri. Riuscisse a regalarci qualche modulazione dinamica, e
una dizione più precisa, risulterebbe un' Amelia validissima. Prova comunque di
alto livello.
Marcelo Alvarez
era Riccardo.
Generosissimo
cantante, Alvarez non si risparmia per tutta la recita, tratteggiando un
Riccardo spavaldo e gigione (forse troppo a volte). Voce calda e suadente
quella del tenore argentino che pecca a volte solamente per qualche attacco
eccessivamente scoperto o per un fraseggio non proprio esemplare.
Zeljko Lucic era
Renato.
Il baritono
serbo, probabilmente terrorizzato dal clima in sala, ha fatto una recita in
divenire.
Sfocato e spinto
nel canto di conversazione nel primo atto, nel secondo e terzo atto si risolleva
regalandoci un “Eri tu” encomiabile per finezza e interpretazione.
Ulrica era
Marianne Cornetti.
Artista completa
e precisa, la Cornetti incesella un'esecuzione da manuale, nonostante i segni
del tempo comincino a farsi sentire e la sua salita alla parte superiore del
rigo musicale risulti faticosa, la Signora Cornetti è e rimane una grande
artista.
Serena Gamberoni
era Oscar, e ci regala un Oscar preciso
e bello, avallato da una voce baciata dalla natura sicura e chiarissima, degna
allieva della sua compianta maestra Alida Ferrarini dalla quale ha imparato
sicuramente il fraseggio pulitissimo e una tecnica formidabile.
Forse complice
la gravidanza, il caldo opprimente di questi giorni e la soporifera direzione
di Rustioni, qualche volta è risultata sfasata negli assiemi e in qualche
battuta nel tremendo concertato finale della scena quarta del terzo atto, ma la
sua rimane una prova comunque maiuscola.
Precisi e bravi
il Samuel di Fernando Rado e il Tom di Simon Lim.
Sprecata per una
parte cosi piccola la bellissima voce di Alessio Arduini come Silvano, ci
auguriamo di sentirlo presto in altri ben più impegnativi ruoli.
Corretti il
giudice di Andrej Glowienka e il servo di Amelia di Giuseppe Bellanca.
Applausi
convinti per tutti e qualche contestazione per Rustioni.
Pierluigi Guadagni
LA PRODUZIONE
Direttore Daniele
Rustioni
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
GLI INTERPRETI
Riccardo Marcelo Álvarez
Renato Zeljko Lucic
Amelia Sondra Radvanovsky
Renato Zeljko Lucic
Amelia Sondra Radvanovsky
Ulrica Marianne Cornetti
Oscar Serena Gamberoni
Oscar Serena Gamberoni
Silvano Alessio Arduini
Samuel Fernando Rado
Tom Simon Lim
Un giudice Andrzej Glowienka
Un servo Giuseppe
Bellanca
d’Amelia