Come è noto ai signori
uomini e soprattutto come recita il libretto a conclusione dell’opera ‘..a
tutti, se vuole, la donna la fa’. Su questo asserto sono stati scritti fiumi di
romanzi, tragedie, poesie e quant’altro a raccontare che il gentil sesso sa
essere tanto frivolo e civettuolo, quanto furbo e macchinatore. Questo
dramma giocoso non è da meno e viene ad essere la sintesi di queste
caratteristiche, miscelate con sorriso e spirito bonario. Giocosa è chiaramente
l’atmosfera della narrazione, ma ‘drammatico’ è lo scorno che il potente Bey
Mustafà si trova a subire venendo gabbato praticamente da tutti coloro che gli
girano attorno. L’allestimento che diversi anni fa Pier Luigi Pizzi pensò per questo spettacolo, ripreso per
l’occasione dalla Fondazione Arena di Verona, sviluppa questo tema affrontando
con leggerezza le vicissitudini della bella italiana portata di forza nella
città di Algeri, che non si perde d’animo e riesce a scappare via
tranquillamente con tutti i suoi compari facendola sotto il naso al grande sultano.
Nessuna stravaganza o
colpo di teatro in questo allestimento: le scene ci portano in una città araba
con tanto di Moschea in lontananza, per altro una bellissima riproduzione che
ricorda molto la Moschea Blu di Istambul, e sfondi, arredi e costumi, tutti
coloratissimi, che richiamano perfettamente l’ambiente arabo con tutti i suoi
simboli. Interessante e spiritosa la ‘lezione’ di Storia dell’arte sulle figure
femminili di Haly, che mostrando quadri d’autore, spiega quanto le donne
italiane riescano a farla in barba a chi par loro. Unica licenza, se possiamo
definirla così, l’abbigliamento della bella protagonista. La scaltra Isabella
sembra non appartenere ad un tempo o ad un luogo preciso: entra in scena con un
abito nero, guanti, cappello di pelle e velo viola tra i capelli, e un
immancabile frustino ad indicare il caratterino della fanciulla. In seguito la
vediamo con un abito rosso fuoco ornato
di piume al decolleté ed in testa; ancora piume viola su abito bianco, per poi tornare al nero con dettagli in rosso
per una specie di toga nell’ultimo atto.
Simpatico anche il riferimento ‘culinario’ con i coristi agghindati da cuochi, nella celebre scena della nomina del Bey a signor ‘Pappataci’. A parte queste piccole chicche, ciò che è parso nel complesso è una mancanza di brio vero e proprio, di quel certo non so che, soprattutto nello sviluppo dei personaggi e nella loro caratterizzazione. La narrazione è sembrata un po’ lenta, soprattutto nei recitativi, ove forse gli artisti avrebbero potuto esprimere maggiormente qualche tratto distintivo, aggiungendo quel ‘quid’ che in effetti è mancato. Se dunque la scenografia è valida ai fini delle vicende, ci saremmo aspettati uno svecchiamento dal punto di vista prettamente registico.
Per il cast la Fondazione ha deciso di scommettere su giovani freschi e spigliati, ma già in carriera.
Mustafà è stato il basso Mirco Palazzi. Probabilmente non è il ruolo che gli rende più giustizia vocalmente parlando, ma conferma di possedere un timbro bellissimo di corposità e volume. Anche sul palco è disinvolto e capace di aggiungere del ‘suo’ a quanto la regia prevede relativamente al suo ruolo.
Vocalità molto particolare anche quella di Marina De Liso, forse anche troppo per questo tipo di personaggio; le consente di tratteggiare una Isabella dal forte temperamento, capace di sottolineare la frase al servizio del suo significato. Grintosa nei costumi pensati per lei, si pone come giusto contraltare al beffato Mustafà.
Leggerino è parso il tenore Daniele Zanfardino. Dotato di voce morbida e velata, che difetta però leggermente nel volume, a tratti è sovrastato dall’orchestra, come pure non ha espresso quel carisma che il ruolo dell’innamorato italiano per antonomasia avrebbe richiesto.
Il simpatico Haly è stato il bravo Federico Longhi. Il baritono possiede sia doti vocali che verve da farlo ben figurare in scena.
Bene Filippo Fontana come Taddeo, con una esecuzione lineare e ben calata nel personaggio, disinvolto e corretto vocalmente. Completano il cast Alida Berti e Alessia Nadin, con i brillanti e correttamente eseguiti ruoli di Elvira, la moglie del sultano, e della schiava di Isabella, Zulma.
Il coro dell’Arena di Verona è guidato come sempre dal Maestro Armando Tasso.
A capo dell’orchestra della Fondazione il giovane Francesco Lanzillotta. Non ha ceduto alla tentazione di far divenire la partitura una mera farsetta, concedendo anche tempi più distesi, in accordo con la concezione generale dello spettacolo di Pizzi.
Il pubblico ha gradito tutti gli spunti offerti dallo spettacolo, con sonore risate a scena aperta, chiedendo diverse chiamate sul palco e tributando un forte plauso soprattutto al Maestro Lanzillotta ed a Palazzi al termine della rappresentazione.
MTG
LA PRODUZIONE
Direttore d'orchestra Francesco LanzillottaRegia, scene e costumi Pier Luigi PizziDirettore del coro Armando TassoGLI INTERPRETI
Isabella
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Marina De
Liso
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Lindoro
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Daniele Zanfardino
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Mustafa'
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Mirco Palazzi
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Elvira
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Alida Berti
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Taddeo
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Filippo Fontana
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Zulma
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Alessia Nadin
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Haly
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Federico Longhi
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ORCHESTRA CORO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA
FOTO ENNEVI