La stagione lirica al Teatro Verdi di Padova prosegue il suo
cammino con la sezione autunnale, presentando un titolo tanto importante quanto
imponente, sia musicalmente parlando che per contenuti esposti. Che Donizetti
amasse le grandi personalità femminili lo si evince dai numerosi titoli ad esse
dedicati, si pensi ad Anna Bolena, Maria Stuarda, Maria de Rudenz, Maria de
Rohan, per citarne alcune. Qui siamo innanzi ad uno dei personaggi più
affascinanti e controversi della storia italiana del Rinascimento: Lucrezia
Borgia, la cui storia personale è da secoli fonte di ispirazione per drammi
scritti o musicati, fino alle moderne serie televisive, in cui liberamente vengono
narrati gli intrecci privati e le trame politiche che si dipanano intorno a questa
figura.
Tratta infatti dal dramma dall’omonimo Lucrèce Borgia di Victor Hugo, datato 1833, l’opera di Gaetano Donizetti fu messa in scena
nello stesso anno, ed espone la figura della famosa figlia illegittima di Papa
Alessandro VI, che fu nota alle cronache rinascimentali per la sua burrascosa
vita sentimentale, protagonista di matrimoni legati alla politica ed ai
conseguenti giochi di alleanze della sua famiglia, come in uso all’epoca (e come
è noto anche in seguito). Nel corso dei secoli la figura di questa donna ha
assunto connotazioni sempre più negative, per raggiungere l’apoteosi in quanto
a notorietà grazie proprio al dramma di Hugo, che ebbe grandissimo successo sin
dalla sua prima rappresentazione a Parigi. Troppo succulento come materiale per
non attirare l’attenzione di Gaetano Donizetti, che ne fece un’opera
straordinaria, grazie anche al libretto di Felice Romani, e che pur non ottenendo
allora il successo sperato da subito, oggi rappresenta un gioiello da mettere
in scena con orgoglio, come è stato per questa produzione patavina.
La Borgia del compositore bergamasco è però soprattutto una
madre, il cui sentimento nobilissimo verso il figlio in qualche modo può edulcorare
i delitti compiuti precedentemente. Diversamente dalla versione dell’autore
francese, infatti, non è la protagonista a morire, ma il suo adorato figlio, per
mano involontaria del veleno che essa stessa aveva predisposto per i suoi
compari, lasciandola nello sgomento più totale sino a svenire. La punizione per la sua vita delittuosa, dunque, non tarda comunque ad
arrivare, più tremenda della morte.
Rimaneggiata più volte fino al 1840, cercando di mettere d’accordo
tutti tra artisti, censura, e persino Hugo, che non amò particolarmente il ‘saccheggio’
della sue opera da parte del musicista, da quella data offre una variante nel
finale: anziché la cabaletta della protagonista in lacrime per la morte del
figlio avvelenato, ‘Era desso’, il figlio stesso con ‘Madre, se ognor lontano’,
saluta morente la ritrovata genitrice.
Il regista Giulio Ciabatti, coadiuvato da Roberta
Volpe, ha lasciato che l’intensità dei colpi di scena e dei sentimenti
fossero espressi soprattutto dalla bellissima musica scritta da Donizetti,
lasciando molto all’immaginazione del pubblico, data l’estrema essenzialità
della scenografia. In effetti non si può parlare di vera e propria scenografia,
poiché gli unici elementi presenti sul palco sono delle colonne color argento e
rosso in mezzo alle quali si muovono i protagonisti, con la semplice aggiunta
di blocchi in stile marmoreo poggiati sul suolo, ad indicare le profetiche
cinque tombe per gli avvelenati, nell’ultimo atto. Le luci di Bruno Ciulli aiutano a
sottolineare i momenti più intensi della narrazione, ma senza arricchire
particolarmente lo sfondo. L’intera rappresentazione è stata dunque realizzata
quasi in forma di concerto, con gli interpreti molto spesso rivolti al pubblico,
piuttosto che all’interlocutore di turno. A rendere l’idea del lusso e dello
sfarzo dell’epoca Borgia ci hanno pensato i meravigliosi costumi della Sartoria
Tirelli ripresi da Lorena Marin. Sontuosi,
ricchi, hanno costituito l’elemento di forza di questa messa in scena.
Tutta giovane la compagnia di canto.
Il ruolo di Lucrezia Borgia è uno dei più difficili da
interpretare, che richiede grande esperienza e duttilità vocale. La giovane Francesca
Dotto ha mostrato molto coraggio nel mettersi in gioco, anche perché dotata
di un bel materiale vocale dalle grosse potenzialità. Non ha però ancora ‘le
physique du rôle’ che questo personaggio così impegnativo richiederebbe. Sicuramente
la regia non è stata molto di aiuto nel sottolineare la forza e la passione di
questo ruolo, ma anche l’interpretazione del soprano è stata sì corretta, però ancora
piuttosto scolastica.
La voce di Mirco Palazzi ha da sé offerto un Alfonso I D’este di carattere e ‘mestiere’. Il
basso è riuscito ad imprimere personalità al suo ruolo, soprattutto grazie alla
sua voce ricca e robusta, che non teme il volume dell’orchestra e spicca fiera
in sala.
Gennaro è stato interpretato da Paolo Fanale. Il
tenore è sembrato leggermente sotto tono. Non ha dato all’interpretazione
l’intensità che ci si aspetterebbe, dando l’impressione di cantare un po’
trattenuto e monocorde, risultando talvolta coperto dalla musica in sala.
Straordinaria sorpresa Teresa Iervolino nel
ruolo en travesti di Maffio Orsini.
Come il collega Palazzi, nonostante la regia non offrisse spunti particolari,
ha impresso carattere deciso al suo personaggio ed ha veramente colpito per il
bellissimo colore della sua voce forte con corpose sfumature ambrate.
Positiva la prova dei comprimari che in realtà sono molto
più, data l’importanza delle loro azioni nella storia: Vittorio Zambon, nel
ruolo di Jeppo Liverotto, Wiliam Corrò, un discreto Don Apostolo Gazella, Ascanio
Petrucci, un Gabriele Nani dal bel timbro, Oloferno Vitellozzo, alias Orfeo
Zanetti, e Rustighello, un
corretto Matteo Mezzaro.
Molto bene l’Astolfo di Massimiliano Catellani e veramente molto bravo Andrea Zaupa,
che ha nobilitato il ruolo del fido Gubetta con la sua bellissima voce bruna.
Il coro Città di Padova preparato da Dino Zambello ha offerto una prova positiva, tralasciando
qualche piccolo problemino di tempo ad inizio del secondo atto, ma in generale
corretto e con un bell’impasto di voci.
L’orchestra di Padova e del Veneto, guidata da Tiziano
Severini, risulta talvolta predominante nella sala non grandissima del
gioiello padovano. Il Maestro ha comunque stabilito un buon contatto con il
palcoscenico, sottolineando con buona impronta drammatica i momenti più intensi
della narrazione.
Lo spettacolo è stato applaudito da un pubblico visibilmente
soddisfatto ed inneggiante ai protagonisti principali.
MTG
LA
PRODUZIONE
Maestro concertatore Tiziano Severini
e direttore
Regia Giulio
Ciabatti
idea scenografica Roberta Volpe
costumi Sartoria Tirelli ripresi da Lorena Marin
luci Bruno Ciulli
idea scenografica Roberta Volpe
costumi Sartoria Tirelli ripresi da Lorena Marin
luci Bruno Ciulli
Direttore del coro Dino Zambello
GLI INTERPRETI
Lucrezia Borgia Francesca Dotto
Gennaro Paolo Fanale
Alfonso I D’Este Mirco Palazzi
Maffio Orsini Teresa Iervolino
Jeppo Liverotto Vittorio Zambon
Don Apostolo Gazella Wiliam Corrò
Ascanio Petrucci Gabriele Nani
Oloferno Vitellozzo Orfeo Zanetti
Gubetta Andrea Zaupa
Rustighello Matteo Mezzaro
Astolfo Massimiliano Catellani
Coro
Città di Padova,
Orchestra
di Padova e del Veneto
Foto
Giuliano Ghiraldini per concessione Studio
PierrePi Padova