La storia dei monarchi britannici ha sempre suscitato un
indiscusso interesse internazionale sin dai tempi più remoti. In particolare le
vicissitudini dei nobili d’Inghilterra hanno riempito pagine e pagine dei libri
di storia ed ancora oggi sono spesso all’attenzione delle cronache, sia per
faccende pubbliche che private. La ‘Maria Stuarda’ di Gaetano Donizetti pone al
centro delle sue vicende il rapporto tra due grandi regine britanniche, imparentate tra di
loro ma rivali in politica: la cattolica regina di Scozia che da' il titolo all'opera e sua cugina
Elisabetta Prima d’Inghilterra, la figlia protestante di Enrico VIII e della
discussa Anna Bolena. Poiché erano ancora tanti i sostenitori della Chiesa di
Roma e quindi della legittimità del trono della Stuarda, per mantenere saldo il
suo regno la sovrana inglese fece processare e condannare la rivale accusandola
di tradimento e la sentenza di morte fu eseguita presso il castello di
Fotheringhay l’8 febbraio 1587.
Il compositore si sofferma
proprio sulla connotazione negativa di Elisabetta: col librettista Giuseppe
Bardari immagina una regina forte e volitiva che mischia la politica con i moti
del cuore, essendo accecata soprattutto dalla gelosia nei confronti del conte
di Leicester, da lei amato ma che ha occhi solo per la sua odiata rivale. Non
vuole rinunciare al trono e vi si attacca con tutte le sue forze, eliminando
tutto ciò che potrebbe ostacolare il suo cammino ed il progetto di creare una
‘Grande Inghilterra’, inclusa la cugina cattolica. Le due leonesse compaiono inizialmente
separate in scena: è Elisabetta la prima, esibendo già il suo carattere, la sua
forza. Poi è la volta del suo opposto: la regina buona, la cattolica consacrata
da Dio, nell’atto di ricordare il suo passato come moglie del re francese e la
nostalgia dei tempi che furono. Finalmente le due ‘belve’ si incontrano/scontrano:
l’una contro l’altra, nessuna speranza di riconciliazione; le invettive di
Maria contro Elisabetta in merito alla sua nascita illegittima sono la svolta
decisiva verso una sua condanna ineluttabile: Maria Stuarda non può più sperare nella
grazia
La produzione in scena al Teatro Filarmonico di Verona è targata Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti ed ha registrato già un bel successo la passata stagione d’opera, arrivando quindi molto attesa da un pubblico che non è stato affatto deluso dalla sua realizzazione.
Il
simbolo del destino ormai compiuto è la prigione di Maria, che è proprio il
caso di dirlo, troneggia al centro della scena per tutta la rappresentazione, in
forma cubica, scomponendosi e ricomponendosi a seconda delle richieste
librettistiche. Diventa anche simbolo delle due donne, color nero per
Elisabetta, abbigliata di scuro ovviamente, bianco per Maria, in veste candida.
Tutti sono di nero vestiti tranne la protagonista, martire innocente. I begli abiti
sono opera di Manuel Pedretti.
Il regista Federico Bertolani, coadiuvato
dallo scenografo Giulio Magnetto, gioca
sull’oscurità che circonda i personaggi principali: nera è l’anima di
Elisabetta, privo di luce è certamente il futuro di Maria. In alto sul cubo è
poggiato proprio il trono della regina protestante, come a simboleggiare in
maniera ancora più evidente che a lei si devono le sciagure della cugina, che
può solo ‘sottostare’di fatto ai suoi voleri, ma riuscendo vincitrice su tutta la linea dal punto di vista morale.
Se è in
gioco il trono d’Inghilterra, si provi a portare via anche l’oggetto dei
desideri ad una regina ed è guerra aperta. Splendida nel ruolo della malvagia
Elisabetta Sonia Ganassi: il ghigno
sul volto che mostra mentre si rivolge alla rivale è impressionante quanto lo è
la potenza del suo strumento vocale: ampio, ricco di colori ed accenti, si
espande maestoso in tutta la sala con la giusta sottolineatura della parola e
con straordinaria padronanza della scena.
Nel ruolo
del titolo una ispiratissima Mariella Devia. Il soprano
mostra un incedere deciso, un’ aria maestosa pur nel martirio della prigionia,
una reale sofferenza nel volto, unitamente ad una voce particolarmente in
forma, che le consente di sfoggiare tanto acuti decisi ed in voce, quanto scale
ascendenti e discendenti con estrema disinvoltura, dando tutta se stessa ad un
pubblico veramente in delirio per lei.
Molto bene
anche i suoi compagni di palcoscenico: Marco Vinco è un ottimo
Talbot, la sua voce è scura e ben emessa in maniera uniforme, si espande nella
sala senza perdere in potenza e colore; molto attento anche alla recitazione
che quindi risulta sentita e per ciò centrata.
Leggera e
melodiosa la voce di Dario Schmunck, dal bel
timbro acuto che non teme affatto i volumi dell’orchestra; il suo Leicester è
accorato e molto partecipe.
Forte e
volitivo Lord Cecil con Gezim Myshketa, anch’egli
dotato di una bella voce calda e corposa, che ben completa nell’insieme un
ruolo di carattere eseguito con sicurezza. Molto accurato e ben eseguito anche
il ruolo di Anna Kennedy, alias Diana Mian.
Prezioso il
contributo del Coro dell’Arena di Verona diretto da Armando Tasso.
A completamento della buona riuscita dello
spettacolo, il Maestro Sebastiano Rolli ha guidato l’orchestra
della Fondazione Arena con puntualità, attenzione alle voci ed ai singoli
momenti dell’opera, evitando suoni monotoni o troppo ridondanti, donando così all’orchestra colore e suono particolarmente ricchi.
Il pubblico (non
proprio disciplinato) ha dispensato applausi veramente sentiti e prolungati per
tutti i protagonisti, in particolar modo per la signora Ganassi, per la Signora
Devia, con ripetute chiamate sul palco, e addirittura tifo quasi da stadio per il direttore
Rolli.
MTG
LA PRODUZIONE
Direttore d'orchestra
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Sebastiano Rolli
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Regia
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Federico Bertolani
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Scene
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Giulio Magnetto
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Costumi
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Manuel Pedretti
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Maestro del coro Armando Tasso
Direttore allest.
Scenici Giuseppe De Filippi Venezia
GLI INTERPRETI
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Maria Stuarda
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Mariella Devia
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Elisabetta
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Sonia Ganassi
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Giorgio Talbot
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Marco Vinco
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Roberto Leicester
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Dario Schmunck
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Anna Kennedy
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Diana Mian
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Lord Guglielmo Cecil
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Gezim Myshketa
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ORCHESTRA, CORO
E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA
FOTO ENNEVI