domenica 13 luglio 2014

LE COMTE ORY, G. ROSSINI – TEATRO ALLA SCALA DI MILANO, lunedì 7 luglio 2014

LE COMTE
C'est moi: c'est soeur Colette.
Seule, et dans cette chambre où je ne peux dormir,
Tout me trouble, et tout m'inquiète.
J'ai peur... permettez-moi... près de vous... de venir.
  
Sulla genesi compositiva de Le Comte Ory si potrebbero scrivere tomi di libri, talmente travagliata e complessa è stata la sua nascita.
Anche qui, come nell'Assedio di Corinto o nel Mosè, dietro c'è tanta musica nata per un libretto italiano: la cantata scenica del 1825 Il viaggio a Reims, che ricordiamo con i televisori e le vasche da bagno nel memorabile allestimento di Luca Ronconi; Gae Aulenti e Claudio Abbado al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 1984. Per una forma di sublime chiaroveggenza della pigrizia, Rossini sa che la musica del Viaggio è troppo bella per morire in poche repliche insieme ad un atto unico di tre ore, con un cast sterminato quanto irripetibile e un libretto un po' sgangherato legato ad un'occasione unica come l'incoronazione del truce Carlo X.

Decide così di rifonderla nel nascente Comte Ory: una scoppiettante opera giocosa destinata nientemeno che all'Opèra, deriva da qui quindi un rapporto tra testo e note che è una perversa via di mezzo tra un patchwork, una parodia e un palinsesto medievale, usando una griglia drammaturgica e metrica che gli consenta di riutilizzare più pezzi possibili del Viaggio a Reims, rabberciando nuovi versi francesi sulla falsariga di quelli italiani.

Il risultato alla fine sarà che il testo sulla partitura di Rossini è un'altra cosa rispetto a quello composto dal librettista Scribe che infatti, offeso, ritira il proprio nome dal frontespizio a stampa accordandogli la firma solo trent'anni dopo a forza di ‘soldoni’, pacche sulle auliche spalle e ringraziamenti di circostanza.
L'allestimento visto al Teatro alla Scala, proveniente con grande successo e altro cast dall'Opéra Nationale de Lyon e qui ripreso da Christian Rath, ha corrisposto in pieno all'idea del melodramma giocoso insito nell'opera di Rossini.

Il regista Laurent Pelly, a mio avviso uno dei più talentuosi di questa generazione,  firma anche scene e costumi e concepisce una messa in scena dove tutto ruota attorno ad un Comte Ory visto come un giovane frivolo, degenerato, un figlio di papà che sciupa la sua fortuna saltando addosso a tutto ciò che di femminile si muove e respira, non risparmiandosi sui mezzi e perennemente incalzato da un Gouverneur precettore\complice. Siamo in un paesino della profonda e annoiata provincia francese dei nostri giorni e la Comtesse Adèle non è più la pia castellana di Scribe ma una giovinetta un po' scema di quella ricca borghesia di provincia alla quale basta dare il la per far scoppiare la sua voglia di vita assopita nell'attesa di un marito sodato in Afganistan.

Ed ecco che il famosissimo trio della scena decima del secondo atto si trasforma da un castissimo parlour di doppi sensi in uno scatenato menage a trois sessuale esplicito, dove la casta contessina viene posseduta in contemporanea e con suo grande giubilo da Ory e Isolier.
Si sa, per il compassato e cotonato pubblico della Scala, questo può essere troppo e le contestazioni non si sono fatte mancare all'indirizzo di una messa in scena comunque mai volgare né scontata.
A sostituire l'atteso e divino divo Juan Diego Florez, recentemente spesso cagionevole di salute, è stato chiamato per tutte le successive recite il tenore sudafricano Colin Lee, il quale si trova a suo agio perfetto nei panni del Comte Ory riuscendo a non far rimpiangere al pubblico afflitto e contrito la dipartita improvvisa del succitato divo.
Ha voce robusta per il ruolo, per nulla nasale o coperta da falsettoni improponibili, si spende senza parsimonia anche scenicamente, nonostante qualche incomprensione nella dizione francese o qualche scivolata nel fraseggio non sempre perfetto, porta a casa una recita decisamente convincente, segno di maturità professionale e artistica di alto livello.

Roberto Tagliavini è un Gouverneur algido nella voce, peraltro precisa e molto chiara, che affronta la sua ostica aria “veiller sans cesse” con precisione, eleganza e potenza di fiato; se solo riuscisse ad essere scenicamente più rilassato, il risultato sarebbe stupefacente.

Jose Maria Lo Monaco dà corpo al paggio Isolier con una verve ed una spigliatezza encomiabili, da consumata attrice. La voce non è robustissima, ma cavalca senza la minima difficoltà le puntature acute non proprio comode della sua parte, adeguandole ad un fraseggio da manuale.

La Comtesse Adele era Aleksandra Kurzak, la quale, dall'ultimo nostro ascolto come Juliette all'Arena di Verona lo scorso anno, ha irrobustito notevolmente la voce a scapito di tenuta e difficoltà nel settore più acuto della parte. Anche lei è bravissima nell'assecondare le richieste di Pelly e si spende senza risparmio nel portare a termine una recita musicalmente per lei un tantino difficoltosa.
Che dire di Marina De Liso come Ragonde? Che è di una bravura encomiabile. Una vera fuoriclasse nel suo genere, per nulla scontata e credibilissima sia vocalmente che scenicamente. Brava!
Sprecata nel piccolo ruolo di Alice la voce preparata e importante di Rosanna Savoia, che ci auguriamo di sentire ben presto in altri ruoli più impegnativi.

Corretti il Manfroy di Michele Mauro, il Gerard di Massimiliano Difino, il Raimbaud di Stéphane Degout e i cinque Coryphée Maria Blasi, Marzia Castellini, Massimiliano Difino, Emidio Guidotti e Devis Longo

Deludente e inaspettata la prova della concertazione di Donato Renzetti a capo di una svogliatissima e annoiata orchestra del Teatro alla Scala.
Dal navigato Maestro abruzzese, che più volte in passato ha affrontato la partitura del Comte Ory con altri più lusinghieri risultati, ci saremmo aspettati un brio, una verve e un impianto decisamente più incisivi per una partitura del genere che fonda il suo stesso essere su di un gesto vigoroso e preciso come un orologio svizzero.
Tale non è stato purtroppo e oltre agli imbarazzanti scollamenti tra buca e orchestra nelle parti corali del primo atto, non abbiamo colto una particolare propensione nell'accompagnare la compagnia di canto verso un risultato ottimale, tendendo piuttosto a portare a termine mollemente la serata senza ulteriori danni.

Ottimo il coro del Teatro alla Scala preparato con precisione da Bruno Casoni.
Successo vivissimo per tutti i cantanti, qualche contestazione per Renzetti da parte di un pubblico attento e numeroso.

Pierluigi Guadagni



LA PRODUZIONE

Direttore                    Donato Renzetti
Regia, scene
 e costumi                   Laurent Pelly
Luci                            Jöel Adam


GLI INTERPRETI

Le Comte Ory           Colin Lee
Le Gouverneur         Roberto Tagliavini
Isolier                        José Maria Lo Monaco
Raimbaud                  Stéphane Degout
La Comtesse
de Formoutier            Aleksandra Kurzak
Ragonde                    Marina De Liso
Alice                           Rosanna Savoia

Nuova produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con Opéra National de Lyon

Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano


Foto Teatro alla Scala di Milano